Lui sostiene che non era a conoscenza di certi fatti, noi crediamo che non sia così”. “Lui” è Benedetto XVI, “noi” sono gli avvocati dello studio Westpfahl-Spilker-Wastl, autori del rapporto sui casi di pedofilia dal 1945 al 2019 nella diocesi di Monaco e Frisinga (la quale ne è il committente). Robe da chiodi. Si ha l’impressione che importi fino a un certo punto dei 497 minori prevalentemente maschi vittime di abusi in quei 74 anni e dei 235 abusatori prevalentemente preti. Importa molto tirare in ballo il papa emerito, ricicciando accuse in parte già viste, di non aver preso provvedimenti in quattro casi quand’era, quarant’anni fa, arcivescovo di Monaco. Ignorando che le accuse note sono state smontate in una dettagliata memoria di 84 pagine. Ignorando anche la fermissima e straordinaria azione (non bla bla bla) di Benedetto contro la pedofilia della Chiesa.

Ratzinger parlò di “sporcizia nella Chiesa, tra i sacerdoti” nella processione del venerdì santo del 2005, che guidò al posto di Giovanni Paolo II gravemente malato. E si riferiva esplicitamente agli abusi: “Avete tradito la fiducia dei giovani, dovete rispondere di ciò davanti a Dio onnipotente, ma anche davanti ai tribunali costituiti”, scrisse nel 2010 nella lettera pubblica alla Chiesa irlandese. In numerosissime occasioni e luoghi incontrò vittime di abusi esprimendo dolore e compassione.

L’azione normativa e pratica l’aveva studiata già con Giovanni Paolo II e l’ha proseguita da papa, affrontando gravi questioni di diritto canonico: i delitti sessuali sono stati posti sotto la competenza della Congregazione per la dottrina della fede, come “Delicta majora contra fidem”: cosa che in sostanza ha permesso l’erogazione della pena massima, la riduzione allo stato laicale, impossibile con la precedente disciplina. Si badi: una rivoluzione. Durante il suo pontificato la pena è stata erogata in centinaia di casi; Francesco ha proseguito e introdotto ulteriori provvedimenti attuativi.

È però interessante considerare la sottolineatura fatta dallo stesso papa emerito in una sua nota. La sua riforma – spiega – non era solo una tecnicalità processuale, ma era conseguenza “del peso della fede per la Chiesa. È importante tener presente che in simili colpe di chierici ultimamente viene danneggiata la fede: solo dove la fede non determina più la vita degli uomini sono possibili delitti”.

E chi ce l’ha contro la fede? Tutti i papi sono stati attaccati: Pacelli con un film (Il Vicario), Wojtyla con una pallottola (Alì Agca). E Ratzinger? “Strategia della calunnia” è il robusto titolo di un articolo di Giuliano Ferrara sul Foglio del 23 febbraio 2013, dopo l’annuncio delle dimissioni. Secondo Massimo Introvigne il metodo usato è la diffusione del “panico morale”. Intervistato da Tornielli e Rodari, il noto sociologo e saggista spiegava: “Vengono presentati come nuovi fatti risalenti a molti anni orsono, in parte già noti… e che nascano furibonde polemiche, con un attacco concentrico… mostra bene come il panico morale sia promosso da ‘imprenditori morali’ in modo organizzato e sistematico. Il caso di Monaco è a suo modo da manuale” (Attacco a Ratzinger, Piemme 2010).

E chi sono questi “imprenditori”? Parliamo di posizioni culturali ostili alla Chiesa ma anche interne ad essa (senza avventurarci in altri terreni).

A identificare i nemici esterni, come posizione culturale, aiuta il laicissimissimo intellettuale Paolo Flores d’Arcais nel suo (basterebbe il titolo) La sfida oscurantista di Ratzinger” (Ponte alla Grazie, 2010). Sfida a suo avviso condotta con spirito da concilio di Trento: “integralismo del dogma e tentativo di pulizia morale nella Chiesa. Benedetto XVI è perfettamente consapevole della marcia trionfale che sociologicamente parlando continua a compiere la globalizzazione dello spirito, secolare, edonistica, consumistica […] ha deciso invece che la modernità può essere attaccata … Ha progettato il suo papato come una vera Reconquista della modernità attraverso un sistematico attacco ai capisaldi culturali e politici da cui è nata […]”.

Cioè: proponendo un allargamento della ragione invece del relativismo filosofico e morale, un cristianesimo come avvenimento, la chiesa come vita, la fede che diventa cultura. In una parola: Ratzinger ha sfidato il padrone del mondo (vedasi l’intramontabile romanzo di Benson). Per questo, ricordate, molti professori non hanno voluto la lectio di papa Benedetto alla Sapienza di Roma (compreso il fisico che ha preso il premio Nobel). Un papa con cui non aveva affatto disdegnato di discutere uno dei più grandi pensatori della modernità, Jurgen Habermas (e ne uscì un libro prezioso).

Gli oppositori da dentro la Chiesa sono quelli che mons. Massimo Camisasca, arcivescovo emerito di Reggio Emilia, ha definito in un’intervista al Corriere di ieri “i settori liberal della Chiesa… coloro che si rispecchiano nelle derive del Sinodo tedesco, che non hanno mai accettato il pontificato di Benedetto XVI”. Più in generale sono – questo lo dice chi scrive – coloro che pensano di rendere la Chiesa più appagante, presentabile e vivibile se – poco o tanto – diventa una chiesa arcobaleno, se assume i paradigmi oggi dominanti in tema di etica (relativismo), di diritti (individualismo) e di governo della Chiesa (democrazia).

Torniamo alla frase di Ratzinger, che è la chiave: “Solo dove la fede non determina più la vita degli uomini sono possibili delitti”. Vale anche per l’affezione e la sessualità. Quelli che sostengono che l’antidoto alla sessualità deviata o addirittura pervertita sia il matrimonio sono fuori di testa. Primo perché è evidente che non è vero. Secondo perché solo un prete mal riuscito può pensare che un matrimonio sia una passeggiata romantica con ciliegina erotica legalizzata. Terzo perché il matrimonio è una forma in cui si esprime la vita come vocazione, così come il sacerdozio è una forma in cui si realizza la vita come vocazione. Combinazione sono due sacramenti: perché se il matrimonio non è una passeggiata, il sacerdozio non è un mestiere.

Quanto alla verginità, ho presente quanto insegnò il Servo di Dio mons. Luigi Giussani e ho visto e vedo vissuto in tante persone: che essa è innanzitutto trattare le persone, i beni, la realtà come fatte da un Altro, non un proprio possesso: “possedere come se non si possedesse”. Perciò la verginità cristiana – diceva ed è verissimo – vale anche per il matrimonio. Molti nella storia e nel presente hanno scelto la verginità (anche con la consacrazione e i voti) non per una rinuncia mal tollerata, ma per un desiderio, nato dall’incontro con Cristo avvenimento presente in cui tutta la realtà prende consistenza e tutta la vita diventa più pienamente umana. E così sono segno per tutti.

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