La scorsa settimana Carlos Tavares, AD di Stellantis, la holding multinazionale con sede in Olanda fondata a gennaio 2021 da FCA (FIAT Chrysler Automobiles) e da Groupe PSA (Peugeot, Citroen, DS Automobiles, Opel e Vauxall), uno dei maggiori produttori mondiali di automobili, ha rilasciato un’interessante intervista al Corriere della Sera in cui, tra diversi altri argomenti, ha riportato la seguente affermazione: «Un anno fa, ho notato che in Italia il costo di produzione di un’auto era significativamente più alto, a volte doppio, rispetto alle fabbriche di altri Paesi europei, nonostante un costo del lavoro più basso. Questo ha a che fare con l’organizzazione della produzione, che va migliorata. Se applichiamo all’Italia le buone pratiche che esistono nel nostro gruppo, l’Italia stessa avrà un buon potenziale. Un problema particolare che la riguarda è il prezzo fuori misura, eccessivo, dell’energia. Abbiamo avuto una discussione estremamente virulenta con i fornitori di energia su questo punto. Rispetto ad altri Paesi dove produciamo, salta all’occhio».

È interessante approfondire alcuni spunti di questa considerazione, perché contengono delle importanti implicazioni di policy per il nostro Paese. Come sempre, è interessante partire dalla realtà dei dati, che permette di inquadrare i vari fenomeni in modo più oggettivo rispetto ad una generica affermazione. 

La Figura 1 mostra il costo orario del lavoro nei Paesi europei e come media nell’Unione europea (colonna di colore nero) nell’anno 2020. In Italia (colonna rossa) il costo orario del lavoro è di circa € 28, appena superiore alla media dell’Ue (€ 27) ma decisamente inferiore a Danimarca, Belgio, Francia, Olanda e Germania. Anche l’Irlanda ha un costo del lavoro più elevato. Quindi è vero quando affermato da Tavares: se confrontiamo il nostro Paese con i sistemi produttivi europei più industrializzati abbiamo un vantaggio dal punto di vista del costo del capitale umano. Questo è un punto di forza, che potrebbe attrarre investimenti dall’estero, dalle grandi imprese conglomerate, e quindi portare una maggiore crescita economica. Ma non basta avere un costo del lavoro più basso. Sempre in questa dimensione occorre anche misurare la produttività del lavoro, che in Italia non cresce, come abbiamo già segnalato in un precedente articolo sul Sussidiario. E oltre alla produttività del capitale umano occorre considerare anche il costo degli altri fattori, l’altro argomento sollevato da Tavares (organizzazione della produzione e in particolare alto costo dell’energia).

La Figura 2 presenta la distribuzione del prezzo dell’energia elettrica per usi industriali in alcuni Paesi europei e nella media dell’Ue, pubblicato dall’Autorità di regolazione per reti energia e ambiente (Arera). Colpisce che il nostro Paese ha il prezzo dell’energia più elevato per la fascia inferiore a 20 MWh, il terzo prezzo più alto nella fascia 20MWh-500MWh e – in generale – anche in quelle successive. Anche questa affermazione trova quindi riscontro, ed è un fenomeno ben noto. Il sistema produttivo italiano sconta un costo dell’energia elevato, che aumenta i costi, rende meno attrattivo investire in Italia e costituisce un fardello di competitività per i prodotti nazionali nei mercati globali. 

Anche l’organizzazione della produzione va migliorata, e questo richiama la necessità di (1) interventi a livello manageriale in grado di orientare i sistemi verso una maggiore efficienza, (2) incrementare la qualità del capitale umano aumentando gli skills e le competenze (come suggerito recentemente da Mattia Martini e Emanuele Bianchi sempre sul Sussidiario), (3) investimenti in infrastrutture sia hard (collegamenti stradali e ferroviari), sia digitali (si veda quanto argomentato recentemente da Alberto Daprà). 

Veniamo alle considerazioni di policy. I tre punti appena richiamati fanno parte degli interventi previsti dal Pnrr (missione #1 – Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura per la quale sono previsti investimenti per € 41 MLD; missione #2 – Rivoluzione verde e transizione ecologica, investimenti per € 59 MLD; missione #3 – infrastrutture e mobilità sostenibile, investimenti per € 25 MLD, missione #4 – istruzione e ricerca, investimenti previsti € 31 MLD). Un ammontare di risorse mai vista in precedenza nel nostro Paese in un arco di tempo ristretto (5 anni). È quindi un’occasione importante che non va sprecata, anche perché viene riconosciuto da più osservatori (Tavares stesso afferma che il nostro Paese ha un buon potenziale) che l’Italia ha le risorse umane, collettive e istituzionali per fare un salto, tornare competitiva nel contesto globale, e riprendere un percorso di crescita che possa anche ridimensionare il grave problema del debito pubblico. Per sfruttarla, è necessario indirizzare gli interventi e soprattutto realizzarli in modo adeguato, guardando al bene comune e non a interessi particolari. È questa la sfida che abbiamo davanti e che non possiamo permetterci di sbagliare. 

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