Archiviata la partita per il Quirinale, la squadra è più forte di prima. Il vuoto che i propagandisti hanno creato in Parlamento testimonia che il Paese non ha ancora espresso nulla di meglio della strategia di ricostruzione post-pandemia. Bene così. Non serviva un cambio netto. Anche perché non aveva nessun senso esprimere un nome diverso se lo scenario non è mutato. Meglio attendere che la transizione si compia e che un nuovo Parlamento, forgiato dal voto sul buono o cattivo esito delle riforme, potrà esprimersi.
Ora, testa bassa e lavorare. I nodi sono molteplici: in agenda ci sono temi rilevantissimi. Giustizia, infrastrutture ed economia sono in attesa di provvedimenti strutturali. Nel mentre gli indicatori economici danno in arrivo inflazione, spinta dal caro energia, e un generale raffreddamento della crescita. Il tema si intreccia con la necessità di modificare l’approccio ai problemi.
In generale in questi anni si è cercato di usare l’azione di Governo per creare consenso. La strategia ha fallito. Draghi ha il pallino in mano nonostante l’esercizio del potere sia stato orientato a rispettare i progetti promessi all’Europa piuttosto che a strizzare l’occhio alle urne. In sostanza la politica di buon governo resta salda al comando contro gli strateghi dei social, il che impone una riflessione. Anche se nel Paese cresce un generale malcontento, nessuna piazza ha avuto la forza di disarcionare i tecnici che ora sono molto più forti.
E questo aiuta a trovare una strada per il rebus Mezzogiorno. Non serve solo il consenso per governare. Anzi. Serve di più la forza di imporre le cose giuste, anche ad una minoranza rumorosa e inquieta.
Mattarella può dare a questo obiettivo la sua personale spinta e cercare di indirizzare lo Stato verso questa direzione. Il Mezzogiorno è la sua terra, Mattarella viene da Palermo e mai ha fatto delle sue origini meno che un orgoglio. Ora che si accinge al secondo mandato può essere il vero motore di una accelerazione per la terra che gli ha strappato un fratello e che gli ha dato le doti per essere il punto di equilibrio per l’intero Paese. Per far crescere la sua terra di origine e fare di questo suo nuovo impegno un percorso che lo renda il punto di riferimento di tutto il Paese e non solo dei grandi elettori. Stupisca, intervenga e agisca. Non mantenga le aspettative di chi lo vede a termine, intento a cercare il momento giusto per andar via. È sciolto da vincoli personali con un king-maker, non deve questa sua rielezione ad equilibri interni. Può essere un Cossiga buono, un Napolitano più radicale e ambire alla popolarità di Pertini. Tutto in una volta. E può, ha il potere di mettere al centro la sua terra e la sua rinascita. Che significa far rinascere il Paese e dare un senso politico a questo nuovo tratto di strada.
Tra i mille problemi che assillano il Sud, Mattarella dovrebbe scegliere quello più rilevante: il progressivo incremento dell’abbandono scolastico. Percentuali da far tremare i polsi. L’abbandono della scuola è un fenomeno endemico in alcuni territori, condito da una frequentazione del tutto sterile delle aule. In molte aree del Sud scuola, Stato, doveri, sono ancora parole estranee. Quando il problema venne affrontato negli anni 70 – e il giovane Mattarella ne avrà il ricordo – la povertà educativa era un riflesso condizionato della società proletaria. I ragazzini andavano a lavorare e le famiglie se ne avvantaggiavano. La colpa era della società e, si pensava, se vogliamo riempire le aule dobbiamo aiutare le famiglie a riempire le tasche.
Ma oggi non è così, la massa di denaro senza filtri che finisce nelle tasche di milioni di famiglie non impedisce che il fenomeno rallenti. E, complice la Dad, il fenomeno è esploso. A queste famiglie vanno fatti comprendere i rischi, ai ragazzi va spiegato e imposto che la formazione scolastica deve essere l’unica vera priorità per cui lo Stato eroga risorse e offre sostegno. Senza aver timore di usare le maniere forti contro chi ancora pensa che la cittadinanza sia un misto di diritti senza doveri.
La politica è fatta di visione strategica e abilità tattica, non di propaganda che ruba consenso giocando sulle paure. E alla fine i politici veri restano e sono al centro della scena, perché sanno governare le tempeste. Gli altri – lo abbiamo visto in questi giorni – bruciano nomi come fiammiferi nella tempesta e finiscono al buio, stanchi e infreddoliti anche se pensano di avere imbroccato la rotta giusta.
Mattarella allora agisca, stupisca e indirizzi. È di ottimi navigatori che abbiamo bisogno, che abbiano la croce del Sud come guida, non di avventurosi marinai di acqua dolce.
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