Non basta un antifascismo di maniera

Non basta un antifascismo di maniera, sere una tensione al bene. Lo dice la storia di Edith Bruck, ebrea ungherese, sopravvissuta allo sterminio

La testimonianza di Edith Bruck, ebrea ungherese deportata ad Auschwitz a 13 anni, scrittrice, oggi novantenne, è preziosa perché illumina il valore sostanziale e contemporaneo della memoria dell’Olocausto, celebrata giovedì scorso.

Nel suo recente Il pane perduto, Bruck racconta l’infanzia ferita dalla discriminazione razziale, l’adolescenza nei campi di sterminio, la prima giovinezza libera ma girovaga in un mondo inospitale, fino all’incontro nel 1957 e all’unione durata tutta la vita con il poeta Nelo Risi. Un “lungo cammino che sembra una favola nella selva oscura del Novecento con la sua ombra nera sul terzo millennio”, annota lei stessa. Un cammino che non si pietrifica in una visione manichea ma implora salvezza, scorgendo perciò crepe da cui filtra luce anche nel buio feroce degli uomini dell’inferno: brandelli di insospettata umanità che lei, non credente, non esita a chiamare miracoli. E constatando d’altro canto le durezze dell’estraneità e della non accoglienza nel mondo “liberato” dal moloch nazista.

Primo miracolo. Nel ghetto, prigionieri dei fascisti ungheresi. “Un giorno è successo il miracolo! Oltre il muro apparve zio Gyula al posto del tedesco e con dei sacchi fece calare ogni ben di Dio: pane, patate, fagioli… Era arrivato lì con la complicità di un fascista del villaggio?”

Secondo. Dachau. A spostare traverse dei binari. “E lì un giorno successe il miracolo! Un soldato, dopo aver mangiato, mi gettò addosso la sua gavetta con l’ordine di lavarla, come ogni giorno. E dentro, in fondo, mi aveva lasciato della marmellata che per me era la speranza…”.

Terzo. Castello degli ufficiali presso Dachau. Sguattera in cucina. “E lì avvenne il secondo miracolo: il cuoco, al quale dovevo portare le patate sbucciate, mi aveva chiesto: Come ti chiami?; qualcosa di incredibile per me, numero 11152. Avvicinandosi mi aveva detto che anche lui aveva una bambina come me… e, estraendo dal taschino un pettinino, me lo mise in mano indicando i miei poveri capelli rispuntati. E se non era lui Iddio, chi era?”.

Quarto miracolo. Bergen Belsen. Esausta lascia cadere qualcosa che trasportava. “Il soldato mi si avventò contro colpendomi alla nuca e crollai sanguinante nella neve… Judit (la sorella maggiore, ndr) con tutte le sue forze aggredì la guardia e lui scivolando cadde a terra… io chiusi gli occhi aspettando i colpi. Il soldato invece fece un discorso: ‘Se una merdosa nullità, una lurida ebrea, ha il coraggio di mettere le sue mani su un tedesco! Se ce la fa, merita di sopravvivere. Dio vi maledica’. E mi ha allungato il braccio, per tirarmi su. L’ennesimo miracolo!”

Auschwitz, dove c’è stato fatto tanto male, ma non è morto il male del mondo, e noi tutti lo possiamo fare, cantava il grande Claudio Chieffo. Ben lungi dal fare di ogni ideologia un fascio, o di equiparare e ribilanciare la gravità delle tragedie. Ma ricordandoci che le cattive ideologie armano con un’organizzazione collettiva il lato protervo e violento dell’uomo. Che può manifestarsi anche in doppiopetto.

Liberate, in attesa di rimpatrio. Sotto controllo inglese, a Celle, vicino a Bergen Belsen. “Sedute in cerchio ci godevamo con gli occhi la lenta cottura dei dieci pezzettini (di un pollo rubato per la gran fame, ndr). Erano quasi pronti quando all’improvviso un soldato inglese, dopo un’occhiata maligna, buttò tutto all’aria con dei calci… aveva fatto finire nella polvere il nostro sogno, finito in bocca ai cani”.

Rimpatriata. Budapest. “Tra noi e chi non aveva vissuto la nostra esperienza s’era scavato un abisso. Il nostro avanzo di vita non era che un peso … invocavamo, nella speranza di un abbraccio vero”. “Ci sentivamo sempre più sole e abbandonate”. “Non vogliono ascoltarci, per questo io parlerò alla carta”.

Terra promessa. Israele. “Non mi trovo più bene da nessuna parte, non mi piace il mondo e non posso cambiarlo”.

Ballerina. Atene, Istanbul, Zurigo. “Ero in fuga… dalla delusione del mondo incapace di ascoltare”; “Né confidenze, né amicizie: prove, disciplina, noia e solitudine”.

A dire che noi, oggi, non ce la si può cavare con un antifascismo di maniera e puramente declamato, ma con una tensione a una via e a una vita personale e sociale di bene.

La via e la vita si sono dischiuse al cuore mendicante accoglienza della giovane Edith nell’incontro assolutamente inimmaginabile con Nelo. Hai visto mai che un imprevisto sia davvero la speranza?

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