Il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) per la sanità sembra si stia cominciando a muovere, almeno così appare se guardiamo (con benevolenza) alcuni segnali che marcano il territorio: in alcune Regioni c’è del movimento a livello progettuale, si iniziano ad intravvedere tipologie di attività da erogare, si sta discutendo della organizzazione dei servizi in termini di requisiti standard, sono stati pubblicati i primi bandi per il conferimento di incarichi di collaborazione a professionisti ed esperti da impiegare nelle Pa regionali e territoriali, e così via. Speriamo che questi segnali, per ora solo di fumo, siano accompagnati a breve da un bell’arrosto (le risorse per la realizzazione delle iniziative).

In concomitanza con il muoversi delle attività si infittiscono anche le prese di posizione dei diversi soggetti interessati (i cosiddetti, in gergo, portatori di interesse). Non solo singoli esperti e professionisti della materia; adesso è anche il turno delle formazioni organizzate, come dimostrano i recenti documenti licenziati dalla Fimmg (Federazione italiana dei medici di famiglia) il 4 dicembre 2021 e dalla Cgil alla fine di novembre 2021. C’è poi chi si è anche spinto oltre: è il caso della Regione Lombardia che ha preso a prestito diversi elementi del Pnrr e li ha inseriti nella riforma sanitaria che ha appena concluso il suo iter nel Consiglio regionale.

Proprio su questa prospettiva, e cioè sulle modificazioni indotte dal Pnrr, si stanno concentrando le attenzioni degli intervenuti, perché è diffusa la preoccupazione che il Pnrr possa diventare il cavallo di Troia di una riforma sanitaria strisciante, largamente incompleta, ed introdotta di fatto senza passare attraverso il necessario e diffuso dibattito che deve caratterizzare ogni serio tentativo di ammodernamento del Servizio sanitario nazionale.

Anche noi la pensiamo così? A parte il caso della Lombardia, che per concomitanze non volute ha trovato per strada il Pnrr mentre era in corso la discussione sulla sua riforma sanitaria e ne ha così approfittato (e ci sarà tempo e occasione di parlare di questa riforma), la preoccupazione ci sembra fondata per più di una ragione.

Ad oggi non esiste nel nostro paese un modello condiviso (o almeno da poter prendere come riferimento) di sanità e assistenza territoriale, di medicina e assistenza di prossimità: da questo punto di vista le proposte del Pnrr (case e ospedali di comunità, centrali operative territoriali) rappresentano un deciso salto in avanti (nel buio?), come un carro messo dinnanzi ai buoi, di cui si fa fatica a vedere un fondamento che non sia solo (si badi bene, non ci si fraintenda: per noi “pecunia non olet”) l’opportunità di usufruire delle risorse economiche messe a disposizione dall’Ue.

Non è presente un’indicazione dei bisogni e delle necessità cui si ritiene di dare prioritariamente risposta, non sono evidenziati gli obiettivi sanitari e sociosanitari che si vogliono raggiungere, è completamente trascurato il ruolo della socioassistenza, non si parla di prevenzione, e così via per un lungo elenco di argomenti che sarebbe opportuno affrontare nell’ottica di una riforma sanitaria fondata. In questo (mancato) percorso le iniziative proposte dal Pnrr, della cui utilità ed efficacia, peraltro, non si hanno prove evidenti, finiscono inevitabilmente per configurarsi come una riforma strisciante e del tutto incompleta della sanità e assistenza territoriale.

Al di là delle legittime espressioni di parte (che non necessariamente condividiamo) messe sul tavolo dai differenti portatori di interesse, il rischio di non porre formalmente a tema una discussione sullo stato attuale del Ssn e sull’eventuale opportunità di una sua riforma (o aggiornamento), anche alla luce delle problematiche fatte emergere dalla pandemia in corso, sostituendola con iniziative “di fatto” come quelle contenute nel Pnrr, è molto di più di una ipotesi astratta.

Ben venga perciò il Pnrr con le sue proposte e le corrispondenti risorse, ma non basta: abbiamo bisogno di tornare a discutere di sanità e assistenza a tutto tondo, di pensare oltre il Covid, di riportare all’attenzione di tutti quegli elementi di sanità e assistenza che la necessità di rispondere alle drammatiche sfide presentate dalla battaglia contro “la peste” di oggi ci ha fatto mettere in secondo piano se non addirittura fatto trascurare. È di questi giorni, tra altro, la pubblicazione del rapporto 2021 del Programma nazionale esiti curato da Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) che evidenzia esemplificativamente le tipologie di prestazioni di ricovero ospedaliero che maggiormente hanno subito nello scorso 2020 riduzioni numericamente molto significative di attività.

Senza entrare nel merito, chi si è messo esplicitamente sulla strada di una riforma (Lombardia) ha già fatto un passo in avanti, perché se di una riforma abbiamo bisogno (e ne abbiamo bisogno!) questa non può e non deve essere “una riforma strisciante”.

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