Improbabile ma non impossibile. Fa venire brividi pensarci. Valentin Savitsky è al comando di un sottomarino dotato di armi nucleari vicino all’isola di Cuba. Le cariche di profondità di undici navi della Marina degli Stati Uniti cadono sempre più vicino al mezzo sovietico. La temperatura è salita sopra i 37 gradi. L’impianto di climatizzazione è danneggiato. Savitsky pensa che la guerra sia iniziata e ordina la preparazione di un siluro con una carica nucleare simile a quella di Hiroshima. Alla fine tarda la decisione sul lancio ed è questo che salva il mondo da una guerra dalle conseguenze inimmaginabili.

Il leader sovietico Nikita Krusciov aveva installato missili a medio raggio R-6 a Cuba. Le armi vennero scoperte da un tipo sconosciuto di aereo spia americano. Per questo motivo Kennedy aveva decretato un assedio marittimo dell’isola. Kennedy e Krusciov, consapevoli del pericolo, parlavano tramite il famoso “telefono rosso”. La deterrenza funzionò. Krusciov ritirò i missili da Cuba e Kennedy quelli che gli Stati Uniti avevano installato in Turchia.

Sono passati 60 anni da quella crisi. Dov’è ora il telefono rosso? Cosa può fare la Nato per far sì che Putin sia disposto a negoziare in modo affidabile un cessate il fuoco? Dallo scorso febbraio, in nessuna occasione il Presidente russo si è mostrato disponibile a fare ciò che aveva fatto il Presidente sovietico. La guerra non finirà fino a quando Putin non sarà convinto di averla persa.

È improbabile che Putin usi armi nucleari, ma non impossibile. Possibile: la minaccia deve essere presa sul serio perché un Paese senza bombe nucleari sta vincendo la guerra contro un Paese con bombe nucleari. Improbabile: il 20 settembre, Putin ha nuovamente segnato le sue linee rosse: intervento diretto della Nato nel conflitto, attacchi diretti sul territorio russo e la Nato ha finora rispettato queste linee rosse; il dispiegamento di armi, qualora avvenga, può essere identificato, il lancio non è immediato; non è garantito che la catena di comando funzioni; il malessere tra le truppe è aumentato da quando è stato decretato l’arruolamento; non è nemmeno chiaro se le bombe siano in buone condizioni; e, soprattutto, Putin non sa quanto possa essere forte la risposta della Nato.

Per questo da settimane si sta intensificando la tattica che ha già utilizzato in Siria: tortura indiscriminata della popolazione civile e distruzione delle infrastrutture energetiche. Non è un caso che Sergei Surovikin, il generale accusato di aver distrutto Aleppo, sia da qualche giorno in prima linea nelle operazioni.

È probabile che siamo già di fronte a una guerra con 100.000 morti. Sul suolo ucraino giacciono i corpi dei soldati russi che non hanno mai creduto nell’invasione, quelli dei soldati del Paese che si difende, quelli dei civili giustiziati e torturati senza il minimo rispetto della dignità umana. La pace è urgente. Ma non può essere raggiunta senza dare a ciascuno il suo, senza un minimo di verità, senza libertà. Altrimenti la riconciliazione non sarà possibile. Senza questi ingredienti non avremo la tranquillità dell’ordine.

Al momento le aspirazioni e l’esistenza dell’Ucraina come Paese sono minacciate da coloro che vogliono imporre la legge del più forte. Non c’è quel minimo di fiducia reciproca che permetterebbe un dialogo in grado di fermare le armi. Il male fatto deve essere riconosciuto e, per quanto possibile, riparato. Non necessariamente in forma immediata, ma in qualche momento sì. In caso contrario, non si potrà ricominciare da capo.

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