Ame ha avuto un’infanzia e, soprattutto, un’adolescenza complicate e dolorose. Non era capace di accettarsi, di trovare il suo posto nel mondo. Si sentiva pressata da tutti. I suoi genitori non sono stati di grande aiuto. Influenzata dai social media, pensava che i suoi problemi sarebbero finiti se avesse cambiato sesso. Cominciò il processo di “transizione”. Era ormai vicino il momento per l’ormone e la chirurgia e iniziò ad andare da uno psicologo. Non gli parlò di come smettere di essere una ragazza e di iniziare a essere un ragazzo. Parlavano della vita, delle grandi ferite che le facevano sanguinare l’anima, delle sue ricerche.
Ora Ame è diventata una delle femministe che in Spagna si oppone al disegno di legge trans. Le è chiaro che è una donna, una donna particolare, qualcosa di speciale, ma una donna. L’elaborazione del progetto per facilitare “l’autodeterminazione di genere” (dovremmo parlare di autodeterminazione del sesso) ha riacceso il dibattito tra le diverse famiglie del femminismo. È una buona occasione per considerare, ancora una volta, il grande tema che ossessiona questo mondo liquido: l’identità.
Le femministe che promuovono la nuova normativa, sostenitrici di un cambiamento di sesso che non richiede né operazioni, né referti medici, incarnano il rifiuto del dato. Rappresentano la radicalizzazione di quel nichilismo che tutti conosciamo bene, dato che è nell’aria, nelle particelle di polvere che galleggiano senza che ce ne accorgiamo. Come ogni nichilismo, di solito finisce nell’esaltazione della volontà di potenza.
Le altre femministe, quelle classiche o illuministe, che si oppongono alla legge fanno un lavoro encomiabile. Un compito nobile, ma destinato al fallimento. Denunciano che è molto pericoloso permettere ai minori il cambiamento senza che sia necessario il consenso dei genitori. Sottolineano l’incertezza giuridica che comporta il cambiamento della propria identità personale con una semplice dichiarazione. Criticano la forza di certe lobby. E sottolineano che il sesso è un “dato oggettivo”, un fattore che determina l’intera personalità, un fatto biologico.
È tardi perché questa battaglia abbia successo. La rivendicazione del valore della differenza sessuale (come quella di altri valori) arriva dopo due secoli in cui i dati sono stati affrontati in modo restrittivo. Ancora oggi si afferma senza seguire le dinamiche dell’esperienza. Con un pensiero astratto si separa ciò che è unito nella realtà, si separa il dato dalla domanda sulla sua origine. Il valore viene aggiunto a posteriori.
I dati biologici e psicologici non sono isolati. Tutto il sé è dato, tutti noi riceviamo noi stessi presente dopo presente. Ci siamo abituati. Ma è una violenza verso la ragione sostenere che l’identità sessuale o la capacità di essere consapevoli di se stessi sono ricevuti e non indagarne la radice. Sono la conseguenza di un processo evolutivo che si giustifica? Del caso? Del destino? Di quale destino? È proprio questa mortificazione della ragione che ha causato la solitudine di Ame e di molti altri adolescenti.
Ame ha trovato, fortunatamente, un adulto che l’ha aiutata a capire se stessa. I giovani scoprono improvvisamente dentro di sé il vuoto, la sensazione che nulla gli basti, il disagio di non sapere chi sono. E da soli, pensano che questo vuoto, questa insoddisfazione, sia un difetto che può essere risolto con la volontà, con l’autodeterminazione. Hanno bisogno di qualcuno che mostri loro il valore di quell’esperienza: non è un difetto, non è un errore biologico, ma il dramma avvincente che deriva dal crescere.
Hanno bisogno di qualcuno che mostri loro che tutto ciò che li ferisce è il loro grande tesoro. Hanno bisogno della compagnia di adulti per i quali il dato non sia un pre-supposto.
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