Anni fa i giornali e la tv, seguiti dai social network emergenti, erano pieni di storie di sprechi e opere incompiute realizzate nel Mezzogiorno senza criterio e con il solo fine di spendere denari pubblici a favore di consorterie affaristiche e mafiose.
Quella narrazione era corretta. E ha avuto il merito di evidenziare quanta parte del sistema politico fosse orientato a dissipare e distribuire ricchezza nelle mani di affiliati e affaristi. Ha anche alimentato un’ondata populista che ha portato, assieme alle prime crisi post euro, a bloccare di fatto ogni investimento infrastrutturale e a varare norme draconiane per combattere la corruzione, aprendo la strada a forze politiche che su quella narrazione populista hanno basato la loro strategia per togliere consenso ai partiti tradizionali. L’esito è stata la paralisi pluridecennale che ha evitato allo Stato di spendere soldi nel Mezzogiorno e ha incrementato il gap infrastrutturale ed economico con il Nord dove, invece, la reazione alla crisi finanziaria dello Stato è stata il rilancio delle forme di partenariato pubblico-privato con investimenti guidati dagli enti locali.
Il Pnrr ha preso atto delle arretratezze e ha allocato risorse ingenti per riattivare la spesa pubblica. Questa misura, assieme all’assistenza a pioggia del Reddito di cittadinanza ha consentito al Sud di galleggiare, in attesa che la ripresa arrivasse. La guerra ha cambiato lo scenario e una nuova maggioranza è ora alle prese con il rebus Mezzogiorno.
Il presidente Giorgia Meloni ha rilanciato nel suo discorso un tema ormai acquisito, prendendo atto del giacimento di risorse energetiche rinnovabili di cui il Sud dispone. Al contempo ha ribadito di voler profondamente riformare gli strumenti di assistenza economica alle persone, facendo intendere che la sua scelta è quella di puntare sulle infrastrutture (energetiche e non solo) per dare risposta ai problemi che da anni attanagliano il Sud.
La ricetta è suggestiva e unita alle prossime tappe del regionalismo differenziato fa intendere che il messaggio per il Mezzogiorno è quello di trovare da solo la sua strada senza la tutela di uno strumento di coordinamento degli investimenti industriali in mano allo Stato (come si era pensato per Cassa depositi e prestiti negli anni scorsi) e senza paracadute per chi è inoccupato, lasciando al mercato e agli investimenti il compito di riassorbire la forza lavoro.
Sennonché molti degli inoccupati necessitano di una formazione specifica che non hanno ricevuto né dalla scuola né negli anni di inattività per essere utilizzabili nei processi produttivi moderni. E di questa misura, che dovrebbe essere ampia e prioritaria, non c’è traccia.
Inoltre molti degli investimenti privati attivati con il bonus 110% per le ristrutturazioni sono finiti nelle tasche di truffatori e spesso sono stati male utilizzati.
Non un buon viatico per le tante opere che il Pnrr prevede che si realizzino nel Sud. Anche su questo fronte la scelta del Governo è di alleggerire i controlli e rivedere alcune fattispecie di reato. Dall’abuso d’ufficio al traffico di influenze è indubbio che il sistema delle opere pubbliche si sia bloccato anche per il timore di tanti funzionari di essere coinvolti in inchieste che possono partire e durare anni anche in assenza di elementi indiziari concreti.
Anche su questo trovare una formula che tuteli e preservi i denari pubblici senza bloccarne la spesa appare un’opera da alchimista medievale. Opera che Nordio dovrà coordinare, rammentando che la malavita del Sud è sempre forte e presente, pronta ad infilarsi in ogni spiraglio che venisse aperto da norme che, con apparente buon senso, si prestino però a un uso spregiudicato di relazioni e decisioni per riattivare la spirale del rapporto mafia-appalti.
Per questo la sfida appare improba e da molte parti si levano voci che mettono in guardia dalle eccessive semplificazioni. Il Mezzogiorno è luogo complesso che ha al suo interno forze sane e reattive e fiumi carsici di malavita che convivono in zone in cui gli ospedali possono finire nelle mani della criminalità, come in Calabria o in Campania, mentre eccellenze produttive operano sui mercati internazionali con la fatica di avere attorno un ambiente non accogliente.
La Meloni può prendere la strada che si è posta davanti sperando di averne un risultato solo se saprà calibrare la sfida che lancia al Mezzogiorno con le tutele che i cittadini hanno diritto ad avere. Non basta installare le pale eoliche per ridare al Sud un’ipotesi di crescita, né autorizzare i pannelli solari nelle campagne per ridare dignità al sud del Paese. Se potesse, anzi, dovrebbe sul tema energia fare un giro nell’Appennino tra Puglia, Campania e Basilicata e capire con i suoi occhi quante installazioni di aerogeneratori siano già intensive e scoprire, forse, che la potenza eolica installata in quelle regioni, assieme alla Sicilia, già fornisce la maggior parte dell’energia rinnovabile prodotta nel Paese.
La narrazione del ben scritto discorso della Meloni appare sin troppo superficiale per la complessità che si trova di fronte nel Mezzogiorno e, pur avendo citato molti personaggi della storia italiana a cui si è ispirata, è della storia recente che deve rammentarsi perché sprechi, abbandono e mafie possono divenire il suo lascito se non saprà mettere dei punti di check and balance alla sua strategia.
Meloni rischia di far correre una maratona ad un atleta con uno zaino di pietre sulle spalle e con le gambe malferme. Non arriverebbe al traguardo e di sicuro potrebbe definitivamente collassare.
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