Persona, sussidiarietà, sviluppo

Una ricerca della Fondazione per la Sussidiarietà mostra scientificamente come il riscatto dell’io, dentro un’amicizia sociale, crea vero sviluppo e risposte adeguate ai bisogni

Nell’editoriale di lunedì scorso abbiamo raccontato due storie particolari di miglioramento della condizione sociale a fronte degli ultimi dati sulla povertà in Italia: allora, quelli appena usciti del Rapporto annuale Caritas, ai quali nel frattempo si sono aggiunti quelli, concordanti, dell’Isfol, resi noti nei giorni scorsi.

Le due storie raccontate erano in breve queste. Una, la vicenda di una giovane mamma africana aiutata, in una compagnia costante e durevole, a gestire il figlio e a prendere la patente, in modo da poter cogliere opportunità lavorative migliori con tempi accettabili per gli spostamenti. L’altra, il percorso di una ragazzina la cui insegnante delle medie l’ha seguita non solo per lo studio, ma anche trovando chi aiutasse la famiglia, povera, con un sostegno alimentare, così che ha potuto proseguire negli studi, trovare un lavoro, prendere in mano, a 25 anni, la gestione di una pizzeria.

La persona al centro

Da quelle storie si cavano criteri e modalità che contrastano decisamente con i modelli assistenzialistici, ai quali molto spesso il nostro welfare è legato. Per esempio, l’assistenzialismo identifica un determinato bisogno e, se ci sono le risorse economiche e umane, vi fa corrispondere un servizio o un contributo. I bisogni però sono normalmente molteplici, in una stessa persona, e interconnessi: lavoro, salute, istruzione spesso e volentieri si influenzano e determinano reciprocamente. Differente è un’ottica – come quella che risulta dalle due storie raccontate – che mette al centro la persona. Perché, come diceva un caro amico illustre clinico, la persona è una e se ti tagli un dito, non è che sta male solo il dito, stai male tu. Difficile se non impossibile rispondere ai bisogni segmentandoli e isolandoli l’uno dall’altro e tutti dalla persona.

Il riscatto dell’io

Non solo si tratta di mettere una persona al centro, ma di puntare sulla sua auto-attivazione, sulla sua iniziativa, sul ritrovato senso della propria dignità, sull’autostima e la fiducia anche in se stessi. E anche questo nelle due storie risulta chiaramente. Così come emerge un terzo fattore, che la ripresa della persona avviene in una compagnia umana, in una amicizia sociale (papa Francesco), o nella creazione di “forme nuove di vita per l’uomo” (San Giovanni Paolo II).

Una ricerca d’avanguardia

La cosa fantastica è che quanto si può arguire da esperienze immediate o da storie particolari come quelle anzidette, è stato scientificamente indagato e confermato dalla scienza statistica. Ai ricercatori della Fondazione per la Sussidiarietà si deve questa impresa, finora la più avanzata nel campo, pubblicata nel Rapporto sulla Sussidiarietà 2022 intitolato “Sussidiarietà e sviluppo sociale” (scaricabile dal sito della Fondazione stessa). In estrema sintesi, mostra che lo sviluppo, l’uscita dal bisogno hanno una correlazione molto stretta con la dimensione sussidiaria, e questa a sua volta è in stretta correlazione con l’io relazionale.

La ricerca misura lo sviluppo, potremmo anche dire l’effetto della risposta al bisogno, in base a raffinati e innovativi parametri di “benessere” complessivo della persona in un dato contesto, che considerano perciò salute, istruzione, lavoro, reddito, sicurezza, ambiente, rapporto con le istituzioni, patrimonio culturale.

La sussidiarietà è ponderata in termini di partecipazione sociale, civica, politica o comunque ad attività collettive; attività di volontariato; organizzazioni associative e non profit. Sussidiarietà indica la cultura e le forme possibili in cui si configura e si articola l’amicizia sociale, la compagnia, la forma nuova di vita per l’uomo.

Infine l’io, la persona, ponderato nei termini del “sentimento di sé relazionale”, nel grado di apertura, di soddisfazione nel vivere, di fiducia e sguardo positivo sull’altro e sulle istituzioni. È questo il soggetto che deve essere all’origine e al centro delle dinamiche.

Dunque, questi tre fattori, persona-sussidiarietà-sviluppo, sono sempre in forte correlazione, il grado e l’intensità dell’uno appare sempre correlato al grado e all’intensità degli altri. Si influenzano non casualmente, ma necessariamente.

In sostanza: c’è più sviluppo, più crescita se la persona non è isolata, ma coinvolta in forme di socialità sussidiaria, dove l’io possa ridestarsi.

Più occupazione, meno rischio di povertà

La ricerca “Sussidiarietà e sviluppo sociale” ci offre da questo punto di vista una quantità di dati impressionanti. Ci limitiamo a citarne due, che riguardano il lavoro e il rischio di povertà. Ebbene, la sussidiarietà favorisce significativamente il trovare lavoro. E viceversa, allontana significativamente il rischio di povertà.

Si usa per queste cose un indicatore di correlazione che va da 0 a 1, dove zero indica che correlazione non c’è e 1 che la correlazione è piena, totale e insuperabile. Bene: l’indice di correlazione tra sussidiarietà e occupazione è mediamente 0,8, quindi molto alto, che si alza quasi a 0,9 se si considera la partecipazione culturale e/o sociale fuori casa. La correlazione sussidiarietà-rischio di povertà si attesta su valori simili, cioè 0,75-0,83, ma con il segno meno; evidentemente: la sussidiarietà, cioè, aiuta ad evitare il rischio di povertà.

Se è stato possibile, a chi scrive, accostare una simile ricerca a due esperienze particolari per meglio lumeggiarle, è ragionevole pensare che essa possa offrire materia di riflessione e suggerimenti al livello della programmazione e della legislazione inerente alle politiche sociali e del lavoro.

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