Partiti, prove d’orchestra

Si può sperare che gli attuali partiti evolvano verso forme e posizioni riconducibili a ideali chiari, come accade in altri Paesi?

Alla vigilia della formazione del nuovo Governo vorrei porre, in un impeto di ottimismo, una questione per me centrale: si può sperare che gli attuali partiti evolvano verso forme e posizioni riconducibili a ideali chiari, come accade in altri Paesi? Sarebbe un passo molto importante. La cosiddetta Seconda Repubblica si contraddistingue per partiti molto capaci di vincere elezioni dall’opposizione, ma fragili e sfilacciati quando sono andati al Governo. Ne è controprova il fatto che non sono stati sfiduciati dalle opposizioni, ma dal disgregarsi delle loro stesse maggioranze.

<L’esempio più eclatante è quello del Pd. Ispirandosi ai valori socialdemocratici europei, il partito che si sta preparando a sostituire Enrico Letta avrebbe potuto essere decisivo nel rilanciare una politica che tenesse insieme democrazia, economia sociale di mercato con una robusta finanza pubblica, coesione, solidarietà, pluralismo culturale, tutela dell’ambiente, confronto con i grandi cambiamenti in atto andando oltre chiusure e istinti difensivi. Tuttavia, per le ragioni ben rappresentate da Gianluigi Da Rold in questo giornale, la sinistra italiana ha evitato negli scorsi decenni di scegliere una chiara strada riformista al servizio del mondo del lavoro e contro le diseguaglianze.

Come gran parte della sinistra mondiale, anche il Pd ha abbracciato la logica del mercato o ha scelto di privilegiare soprattutto il mondo dei diritti individuali, diventando di fatto un partito radicale di massa, come aveva preconizzato Augusto Del Noce. Paradossalmente, in questo quadro, una componente minoritaria del Partito democratico ha anche scelto di continuare a rappresentare le istanze di uno statalismo vetero-comunista datato, il quale considera il «privato» come il “cattivo” a cui fare la guerra, senza considerare che il mondo che invece anima in profondità la nostra Italia è costituito di piccole imprese, realtà del non profit, scuole libere, media borghesia. Ne è nato l’attuale confuso coacervo: riuscirà il prossimo congresso del Pd a far nascere quel riformismo di cui l’Italia ha bisogno dai tempi di Filippo Turati?

La «mutazione genetica» più attesa riguarda il vincitore del 25 settembre, cioè Fratelli d’Italia, che in Europa aderisce al Partito dei Conservatori e dei Riformisti europei, una formazione euroscettica di cui Giorgia Meloni è Presidente dal 2020. È auspicabile che abbandonino ogni rifermento populista e sovranista anti-europeo, perché possano rappresentare in Italia quel profilo conservatore presente in molti Paesi basato su libertà individuali, liberazione da un’ossessiva burocrazia statale, affermazione della democrazia parlamentare, integrazione europea che eviti eccessi federalisti.

C’è poi il nodo del Ppe, sottorappresentato nel nostro Paese da Forza Italia, partito sempre più marginale con l’invecchiamento di Silvio Berlusconi. Perché non sperare che – anche a grazie a una legge elettorale più rappresentativa delle formazioni in campo – forze diverse (i moderati del Centrodestra, il Centro di Calenda-Renzi, Forza Italia) decidano di incarnare pienamente in Italia quella spina dorsale della politica europea rappresentata dal Ppe? Libertà e responsabilità della persona; centralità della famiglia, e dei corpi sociali; interclassismo, solidarietà nei confronti dei bisognosi, apertura agli immigrati aliena da politiche assistenzialistiche. Il tutto in un’Unione europea rafforzata politicamente dall’elezione diretta del presidente della Commissione, e basata in economia su un mercato unico sempre più integrato anche per la politica energetica.

A questo sviluppo, dopo il ridimensionamento elettorale, può legarsi anche la Lega ex Nord. Se prevarrà la linea di buona amministrazione tuttora presente in molte Regioni, senza ritorno a tentazioni separatiste, il partito, al momento guidato da Matteo Salvini, può avviare una naturale e auspicabile evoluzione per rappresentare in Italia qualcosa di simile alla Csu in Germania, partito fortemente radicato nella Baviera e fedele alleato della Cdu.

Infine i 5 Stelle, che nell’ultima versione di Giuseppe Conte hanno assunto finalmente i connotati di partito di sinistra. Potrebbero trasformarsi da partito dell’assistenzialismo a cantiere di una sinistra radicale, sempre presente nella storia politica italiana nelle più diverse forme, garantendo una presenza parlamentare a un dissenso che, se privo di pubblica rappresentanza, sarebbe pericoloso per la democrazia.

Riformisti, conservatori, popolari con un forte alleato regionale, radicali di sinistra: questo l’assetto auspicabile. A quali condizioni potrebbe verificarsi questo ritorno delle formazioni politiche italiane a concezioni ideali? Un siffatto cambiamento può avvenire solo per quei partiti che accetteranno di riconnettersi alle realtà sociali ispirate a degli ideali di bene comune. Se le leggi elettorali, a differenza di quanto avviene oggi, permetteranno al popolo di scegliere le persone da cui farsi rappresentare, il prossimo Parlamento potrà essere espressione di politici che in modo pluralista saranno in grado di progettare il futuro del Paese.

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