I prossimi mesi saranno un prova difficile per la maggioranza uscita dalle urne. Crisi energetica e guerra dettano un’agenda precisa che impone di prendersi cura delle famiglie e delle imprese come primo obiettivo. Evitare che il caro bollette e l’inflazione mangino il reddito degli italiani e minino la stabilità del sistema produttivo è una priorità che nessuno può ignorare. Le risorse dovranno andare in quella direzione, cercando di tamponare quella che si presenta come una crisi grave. Il Paese tutto è a rischio, ma il Mezzogiorno, con le sue fragilità, lo è drammaticamente di più per diverse ragioni.
La prima è che ha una rappresentanza politica nel governo affidata alla Meloni pur confermando, in antitesi, un ampio consenso ai grillini, prima lista come nel 2018, con percentuali ben più alte di quelle riferibili alla mera somma algebrica dei percettori del reddito di cittadinanza.
Sia il centrodestra che le forze riformiste e del Partito democratico hanno perso in molti collegi contro le truppe di Conte, dimostrando di non avere una sufficiente capacità di attrazione politica in molte aree in cui il disagio si manifesta. Un limite che non può ridursi solo alle posizioni rigide sulle politiche di assistenza. Evidentemente non sono credibili i piani di rilancio economico e sociali proposti e di cui si discute ampiamente da anni. L’elettorato, per oltre la metà in alcune aree, non crede siano stati avviati dei passi reali verso la crescita economica e ritiene, nella sostanza, che le misure di sostegno varate nell’ultimo quinquennio siano indispensabili a garantire la tenuta del tessuto sociale.
Il perché è di semplice comprensione. I livelli di reddito procapite, il livello dei servizi locali, il livello della sanità restano in fondo ad ogni graduatoria nonostante le promesse. Il percorso di Draghi, si spera non del Pnrr, è stato interrotto troppo presto e le emergenze contingenti (guerra in primis) appaiono sempre più rilevanti del problema del Mezzogiorno.
Le forze di maggioranza che si apprestano a governare dovranno approntare un piano che sappia proporre, tra le altre, politiche efficaci per il Sud del Paese. Dovranno ripartire da una revisione del Reddito di cittadinanza, come promesso, per incentivare il lavoro di chi può. Partendo dalla constatazione che, se non inseriranno delle iniziative specifiche, resterà solo lo smantellamento della solidarietà tra i territori e la privazione di una piccola fonte di reddito per qualche milione di residenti.
In questo contesto Grillo ha soffiato sul fuoco annusando l’aria, intestandosi l’ennesima provocazione lessicale con il lancio delle “brigate del reddito”, un chiaro riferimento ad una stagione eversiva che molti danni ha prodotto al Paese, giocando anche lui su questa spaccatura per capitalizzare il consenso di una forza sempre più votata al populismo, sempre più radicata proprio nel Sud.
Questo conflitto in nuce tra pezzi del Paese è un rischio enorme. La struttura sociale del Meridione resta povera di risorse economiche ed umane, svuotata di competenze, sotto la pressione della crisi in arrivo. Se infatti le bollette aumentano in modo simile al Nord come al Sud, il reddito di chi vive nel Mezzogiorno è molto più basso e viene quindi eroso ancor di più, proporzionalmente, dall’aumento delle bollette e dall’inflazione.
In questo scenario togliere il reddito di cittadinanza a tutti, anche a chi davvero ha difficoltà, può aprire una stagione di tensioni sociali nuove per il millennio, con la particolarità storica che questa volta la forza politica che ha avuto lì i suoi maggiori consensi, dopo cinque anni, non è più al governo e potrà, come Grillo suggerisce, intestarsi questo clima di lotta. La povertà vera abita già nel Mezzogiorno: come ormai certificato dai quasi tre milioni di percettori del reddito di cittadinanza, due terzi sono inabili al lavoro e per oltre l’80% vivono al Sud. Certo ci sono troppi approfittatori, furbetti, lavoratori in nero, e tanti finti separati solo per percepire gli 800 euro in più al mese. Tutta immondizia che va sanificata, così come sarebbe opportuno che chi può vada a lavorare e produca quel che serve per vivere. Ma nel mentre tutto questo si compie, resta la crisi ed il timore della povertà di tante famiglie per le quali senza risposte si aprirebbero o la strada dell’illecito (almeno per chi ne ha l’indole), o quella della protesta forte.
Il Mezzogiorno non ha ricevuto alcuna speranza reale dalle attività di Provenzano o della Carfagna, i cui partiti hanno subito cocenti sconfitte nelle aree in cui, da titolari del dicastero per Mezzogiorno, avrebbero dovuto raccogliere consenso e la stessa Meloni ha raccolto molto meno di quel che poteva, prendendo una posizione netta sull’abolizione del reddito senza che fosse chiaro quale piano o progetto intende mettere in campo per far convergere nella crescita il Mezzogiorno con il Nord.
Manca, nel complesso in tutti i partiti, una capacità di progetto e di messa a terra dei progetti del Pnrr affidati ai Comuni (spesso senza personale) e questo priva di concretezza ogni conferenza stampa in cui si annunciano i miliardi a disposizione per il Piano di Rinascita e Resilienza. I cittadini hanno una percezione chiara di questa mancanza. Trasporti pubblici allo stremo o inesistenti, servizi sociali e sanitari imparagonabili a quelli del Nord, condizioni per le imprese difficilissime, tutto resta sempre fermo.
In questo immobilismo il sussidio mensile, misura vigliaccamente efficace, diviene l’unica cosa concreta a cui aggrapparsi. L’unica zattera nel mare tempestoso. E come sa chi va per mare, se qualcuno rischia di affogare trascina con sé tutto quello che ha accanto. Perché la paura di non farcela fa uscire fuori una rabbia disperata che nulla può contenere.
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