Presto saranno passati due anni dall’assalto a Capitol Hill. Un assalto che ha significato la fine di un mondo: ha mostrato fino a che punto il valore di una democrazia, basata sulla convivenza pacifica, avesse cessato di essere evidente nel Paese che fino ad allora era stato il punto di riferimento dei principi politici occidentali. C’è chi diceva allora, con ottimismo, che questo tentativo di cambiare con la forza il risultato delle elezioni presidenziali sarebbe servito da “vaccino” per ridurre il radicalismo. Alcuni sondaggi hanno indicato che il virus era ancora molto attivo martedì scorso, quando si sono tenute le elezioni di midterm.
Uno studio dell’Università della California di poche settimane fa mostra che il 29,7% degli intervistati è disposto a commettere “atti violenti per una ragione politica”. Tra i candidati repubblicani c’era un numero non trascurabile di trumpisti: continuano a sostenere che Biden aveva rubato le ultime elezioni. C’erano anche candidati democratici con un orientamento estremo.
Dalla presidenza Obama, gli Stati Uniti stanno vivendo una sorta di “guerra religiosa”, un circolo vizioso che si autoalimenta. Le politiche di Obama hanno provocato una radicalizzazione della destra. Molti elettori repubblicani pensavano di essere stati derubati della loro essenza. Questa radicalizzazione ha reso possibile l’arrivo alla Casa Bianca di un candidato anomalo come Trump. Con Trump come Presidente c’è stata una radicalizzazione della sinistra. I liberali, in particolare le élite intellettuali, hanno alimentato una guerra culturale ossessiva contro il trumpismo. Sono cresciute la “cancel culture”, la regola del politicamente corretto – una forma di censura – e la sistematica svalutazione del mondo dei valori tradizionali. La destra ha risposto con un’altra guerra culturale difendendo l'”America first”, il protezionismo e un estremismo religioso ispirato alla nuova evangelizzazione.
Martedì scorso non c’è stata una vittoria repubblicana così clamorosa come previsto. Il sostegno di Trump non ha aiutato i candidati repubblicani che erano più vicini all’ex Presidente. Democratici e repubblicani moderati hanno fatto bene, come il Governatore DeWine in Ohio, il Governatore Shapiro in Pennsylvania, il Senatore Thune del South Dakota o il Senatore Wyden dell’Oregon. Non ci sono solo sondaggi negativi. Circa il 60% degli elettori afferma di non essere d’accordo con la visione di Trump. È la stessa percentuale che critica il nazionalismo di “America First”. Le elezioni di midterm hanno aperto un interessante dibattito tra i repubblicani, ci sono alternative alla candidatura di Trump alle prossime elezioni presidenziali. Il Governatore della Florida De Santis sembra forte. D’altra parte, i democratici si sono resi conto che le posizioni più polarizzate non gli convengono.
È troppo presto, però, per parlare della fine della “guerra religiosa” nella politica americana. I democratici sono deboli perché sono diventati il partito delle élite istruite e i repubblicani sono deboli perché non si sono liberati di Trump. La debolezza non aiuta la pace. E c’è di più. Le guerre di religione si trasferiscono alla politica quando non è più chiaro che l’unico modo per accedere alla verità è la libertà e quando si difende una verità “astorica”. L’incertezza e l’insicurezza su un determinato valore portano a cercare una scorciatoia per mantenerlo vivo. Si rende necessario il supporto del potere perché non ci si fida della capacità di questo valore di suscitare libere adesioni. La verità sulla dignità della vita, sull’uguaglianza di tutti gli uomini, sulle luci e le ombre del passato non è qualcosa di astratto, né una conquista raggiunta per sempre. Cercare di affermarla o imporla attraverso certe leggi e sentenze, senza tener conto della situazione culturale, antropologica e sociale del mondo in cui si vive, può essere una forma di violenza. I padri fondatori lo sapevano bene.
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