Nessuno potrà mai dire che i paesani di Noè facessero cose sconce per fare la fine che hanno fatto. Le cose che facevano erano le più normali, quelle che fan tutti: mangiavano, bevevano, facevano l’amore. Si divertivano: non sarà mica un peccato divertirsi! Non facevano del male a nessuno.
L’unica cosa che sfuggì loro, che li fregò tutti eccetto Noè, fu che – tutti presi dai punti esclamativi, dalle parole a sproposito, dai toni esasperati, dalle frasi sopra le righe – non si accorsero che l’acqua stava per innalzarsi tutt’attorno a loro: erano come pesci ingabbiati dentro una rete che, però, prima d’essere catturati vivono gli ultimi momenti di libertà. Non accorgendosi di essere già nelle mani del pescatore. Le loro vite – che non contenevano nulla di diabolico, anzi! – era come s’abitassero dentro un locale pieno di persone rumoreggianti, fumo passivo dove nessuno riesce più a parlare. Nemmeno, forse, a guardare attorno quello che sta per succedere.
Soltanto Noè – immaginate cosa avrà dovuto passare quell’uomo! – mentre tutti stavano a prendere il sole ch’era ustionante, si mise a cercare stecche di legno, tentò di immaginarsi una barchetta che gli permettesse, poi, di non soccombere alla furia dell’acqua. Gli risero dietro: “Ehilà, Noè: ti stai facendo ridere dietro dal mondo intero! Non senti come picchia il sole oggi?”. Noè, ch’era un gran mercante, fece orecchie da mercante a quei rumori: l’unico rumore di sottofondo che aveva in testa era una persona. Era la voce di un Dio che, sgomitando in mezzo ai rumori, si era fatto strada nel cuore: “Preparati, Noè: è meglio prevenire che curare!”. Tutti vedevano quello che stava accadendo nel mondo attorno: l’indice medio di iniquità stava alzandosi sempre di più. Tutti avevano occhi per vedere: soltanto Noè, però, aveva occhi capaci di credere a quello che vedeva. E decidere di non giocare col Cielo. Di non giocarsi il cielo.
Quando, poi, venne il diluvio, li colpì così all’improvviso che, forse, manco il tempo ebbero d’accorgersi che quella barchetta di legno non era un’idiozia, ma il frutto di un orecchio che nessun rumore riuscì a distrarre dall’attenzione. Se è vero che non facevano nulla di male, l’unico male che fecero fu la distrazione di pensare: “Io non sono come gli altri. A me non capiterà mai!”. Non calcolarono Dio e le sue bizzarrie: quando Dio si sbizzarrì, li colse così di sorpresa e il colpo lo presero dritto nel petto. Sprofondarono tutti, eccetto quell’ingenuo di Noè e quella ciurma che aveva fatto salire nella sua barchetta. Quella costruita sotto gli sfottò di tutti gli ultras del suo paese: quelli che “tanto a me non capiterà mai d’andare a fondo”.
Ognuno di noi ha il suo giornalista preferito che pensa anche per lui: nessuno sente più il bisogno di un salvatore. A fregarli in massa furono quei rumori di sottofondo che facevano così tanto rumore da deconcentrarli. Al punto da non avvertire più l’annuncio che il treno era in arrivo al binario di casa.
Che si impari, almeno, la lezione: “Vegliate (…) Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo” (cfr Mt 24,37-44). I conterranei, e i contemporanei, di Noè s’accorsero quando era troppo tardi che soffrivano come delle bestie in quelle vite così affollate di rumori e non s’accorsero che il rumore più assordante era il silenzio di Colui che stava per arrivare: la vera sofferenza non abita nel tormento di un’anima, ma nel fatto che l’anima ignori la vicinanza della felicità. Avevano tanti rumori di fondo nella testa, a differenza di Noè che aveva una persona in testa. Mentre il mondo attorno a lui era soltanto grida e confusione, Noè s’allenava all’impalpabile, alle voci basse, ai passi leggerissimi, alla quiete.
Per questo, solo per questo, quando Dio parlò lui abbassò subito la cresta e mise mano alla barca. Gli altri, invece, sentendo solo i rumori dei vicini, leggevano il tempo senza l’orologio: “Saranno le aspirapolvere meno un quarto”, rispondevano a chi chiedeva che ore fossero. Era l’ora, invece, di non distrarsi.
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