La forza del fango che travolge tutto nel piccolo comune di Casamicciola, a Ischia, sorprende e interroga. Si susseguono da ore le ricerche concrete dei dispersi e quelle giornalistiche dei presunti responsabili. Tornano al centro pratiche edilizie quantomeno temerarie e la tentazione, come sempre, è quella di ridurre ciò che accade – il bene come il male – ad una costruzione umana, ad una potenza etica in grado di generare qualunque cosa.
Le responsabilità certamente esistono, ma i fatti sono molto di più che un insieme di azioni. I fatti portano dentro un senso. In questa storia terribile il fattore che non rientra nelle logiche comuni, e che pertanto rivela qualcosa di più grande, è quell’uomo che – nel cuore della notte – viene travolto dal fango dell’onda assassina.
In quell’onda l’uomo ha la prontezza di alzare la testa e di afferrare una persiana alla quale si attacca con pervicacia fino all’arrivo dei soccorritori. È così che i vigili del fuoco lo trovano: attaccato a quella persiana, in attesa. Il mare di dolore che connota l’ennesima tragedia italiana non si affronta solo con la necessaria giustizia da rendere alle vittime, con l’identificazione delle pratiche che hanno portato a trasformare un evento naturale in un dramma per decine di famiglie: il dolore si affronta con l’attesa.
È esperienza di tutti, nelle circostanze più complesse dell’esistenza – dal lutto alla malattia, dall’abbandono all’ingiustizia – che il dolore apre in ciascuno una voragine che nessuna parola può chiudere. Per i credenti la voragine si trasforma in domanda: che cosa vuole da me il Mistero dentro questa circostanza che mi strappa via dalla gioia, dalla bellezza, dalla felicità?
Cercare di rispondere con teorie o con stratagemmi non serve a niente: nulla cancella il dolore, nulla lo fa passare. Ciò che irrompe nella sofferenza più grande e la trasforma è l’avvento di un bene, di un amore, che è capace di abbracciare anche quel dolore e che – nel tempo – rivela le parole che ne spiegano il senso. Attendere quell’amore, attendere quell’istante in cui tutto cambia e mi salva, è dunque l’unico modo ragionevole di vivere il dramma umano. È una posizione vertiginosa, ma è l’unica posizione che permette il riaccendersi della vita.
Non aveva scelta quell’uomo nel fango: di fronte alla marea l’unica posizione ragionevole era attaccarsi a qualcosa di solido ed aspettare. Per i cristiani di rito romano inizia in questi giorni l’avvento. L’attesa è l’unica rivoluzione che, in questo tempo, può sovvertire gli esiti della violenza, può innescare un cammino, può trasformare i nostri risentimenti in lavoro e umanità. Attaccati alla grande persiana che per i credenti è la Chiesa, fiduciosi attendiamo che Qualcuno ci trovi e ci porti in salvo. Di fronte alla negligenza umana o all’apparente fatalità delle cose il gesto che davvero cambia tutto è quello di un uomo, povero e sporco, che inizia ad attendere.
Questo vale per Ischia e per i suoi morti, che attendono oggi degna sepoltura e verità. Ma vale anche per tutti noi, in questi giorni che ci spalancano al Natale e che sono una sfida per tutti. Nessun fango può avere l’ultima parola, perché in ogni istante possiamo aprire gli occhi e iniziare ad aspettare il bene promesso. Colui che viene nel mondo per afferrare il nostro cuore e portarlo in salvo.
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