“Vorrei che lo facesse uno capace ancora di lasciarsi stupire”. Sono passati una trentina d’anni, ma queste sono parole che non si scordano: se stai attento, naturalmente. In una delle quotidiane riunioni dei capiservizio di un giornale si doveva decidere a chi assegnare un certo articolo e l’allora vice-direttore Giuseppe Sottile indicò un criterio diverso dalla semplice competenza sulla materia e, soprattutto, diverso dal ruoli consolidati.
Bene. La Colletta alimentare nazionale è un tale spettacolo di umane mosse che non è poi tanto difficile lasciarsene stupire. Nonostante sia la 26esima edizione quella svoltasi sabato passato, tutto s’è visto meno che la scontata pigrizia ripetitiva tipica di chi ne ha già viste tante, sa a memoria lo schema e non si aspetta nulla di nuovo. A parte il fatto che i numeri sono già di per sé stupefacenti: 6.700 tonnellate di cibo, raccolto in 11mila supermercati di tutta Italia (al Sud con il maltempo). Ma la Colletta sono le persone più che le tonnellate: 140mila volontari impegnati, milioni di persone, forse cinque, che hanno donato qualcosa. E, a dir tutto, lo sono anche quel milione e 750mila poveri (85mila più dell’anno scorso) aiutati dalle migliaia di associazioni caritative “rifornite” dal Banco Alimentare.
Sorriso non “cheese”
Da volontario, anche chi scrive questo pezzo si è ritrovato inserito in un paio di chat di gruppo dedicate al lavoro della giornata. Scambio di informazioni pratiche e richieste operative, ma anche fotografie, tante fotografie di volontari all’opera. Scorrerlo è come sfogliare un book di varia umanità, uomini e donne, vecchi e bambini, italiani e no. Tutti, dicasi tutti, con un tratto inequivocabile: il sorriso. Il sorriso vero, non quello stentato e un po’ ebete di quando ti fanno dire cheese, ma quello degli occhi che brillano e non mentono neanche se bocca e naso sono nascosti dalla mascherina. Il sorriso bello e coinvolgente della contentezza. Forse letizia è la parola più giusta.
Stupore
Tocca ammettere che ciò è stupefacente. Gente contenta di fare quello che fa. Come Samar, dolce marocchina di 17 anni di una famiglia aiutata dal Banco di solidarietà: accosta gentilmente tutti, senza ritrosie, sorridendo, spiegando la Colletta a cosa serve. Come Beniamino, ragazzone italiano poco più avanti negli anni, attivissimamente impegnato nella stesso invito, che molti accolgono e altri rifiutano. E lui, candido: “Non capisco perché dicono di no a una cosa così bella”. Come quegli altri ragazzi un po’ sciamannati, invitati dal prof con una scommessa: “Se vieni, vedrai che sarai più contento”. “Aveva ragione, prof, ha vinto la scommessa”, dirà poi uno. “Ci siamo stati per il bello che abbiamo visto”, dirà un altro. “Che bello che qualcuno finalmente si coinvolga con questi ragazzi”, osserva un alpino volontario.
Scommessa sull’umano
Ecco le parole chiave: bellezza, stupore, umano. Non: dovere, valori. È la bellezza dell’umano risvegliato da una “scommessa”. C’è sì, nel nostro popolo, un giacimento di bontà, di naturale spinta a soccorrere chi è nel bisogno, tante volte mescolato alle indifferenze, agli egoismi, alle paure e alle fallaci attrattive del (sempre più precario) consumismo e del (sempre più deludente) nichilismo.
Due fattori dell’esperienza di popolo “Colletta” sono da mettere in particolare evidenza.
Un bene per sé
Il primo fattore è che questa iniziativa è proposta, e vissuta, non come una prestazione da cedere, ma come innanzitutto un bene per sé da acquisire. Bellezza e stupore sono i segnali inequivocabili che quell’azione – il senso di quell’azione – corrisponde profondamente al mio vero io. Il bello del gesto che faccio, non lo realizzo io, ma mi è dato. Così il gesto mi persuade, è mio (“cerco un gesto, un gesto naturale, per essere sicuro che questo corpo è mio”, Giorgio Gaber) e può incidere su di me generando un attitudine relazionale nuova, più compiuta, più plasmata dalla gratuità.
In compagnia
Un secondo fattore è l’essere in compagnia, parte di una formazione sociale in cui la persona si sente obiettivamente sorretta e sostenuta nella sua traiettoria umana. Non è un caso che moltissimi volontari della Colletta siano membri di svariati movimenti e realtà associative, dagli alpini ai Lyons, per dire, passando attraverso numerosissime altre, impossibili da essere tutte citate. È anche giusto recuperare il termine di “corpi intermedi”, nella loro valenza di educazione del popolo e di espressione di un’amicizia e di protagonismo sociale che la relazione diretta ed esclusiva Individuo-Potere (politico, economico) rende praticamente impossibile. Un’esperienza che essi stessi, i corpi intermedi, devono sempre riprendere e rinfrescare, pena ridursi a entità corporative e autoreferenziali.
Ischia
Responsabilità della persona, amicizia sociale, operosità concreta: anche nella tragedia di Ischia, per stare alla più recente, l’esempio positivo – di cultura sussidiaria – è dato dalle diverse squadre di soccorritori in azione. Portano valori e criteri (la connessione tra il mio bene e il bene degli altri) senza i quali è un Far west dove l’individuo crede di cavarsela facendosi cliente del potere in cambio di prebende assistenziali e connivenza in abusi e illegalità. E in cui il dibattito spesso si riduce – per un po’ di tempo – a polemica ideologica o di schieramento, o in promesse improbabili, che non offrono vie realistiche di soluzione; passato un po’ di tempo, chi si è visto, si è visto. Vedi Ischia 2009 e 2017.
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