Su una cosa tutti quelli che parlano del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) concordano: le risorse disponibili non bastano. Fin qui “piace vincere facile” come diceva uno slogan pubblicitario: chiedere più risorse è semplice, raccoglie consensi, fa fare bella figura e non costa nulla, ma rimane una lamentela sterile che non porta da nessuna parte se non si dice da un lato quante ne servirebbero e dall’altro dove si va a prenderle.

Il primo questo (il quantum) coinvolge questioni di politica sanitaria (quali bisogni il SSN deve soddisfare, quali servizi e prestazioni deve erogare con le risorse a disposizione) e di tecnica economica (come passare dai bisogni e dalle attività alle risorse), il secondo (il dove) invece coinvolge prevalentemente decisioni di politica globale (le questioni tecniche sono secondarie). Proviamo ad analizzare le due questioni con la sintesi che ci è permessa dallo spazio disponibile.

Quante risorse servono. Prescindendo dagli argomenti più metodologici di tecnica economica (spesa pro-capite, rapporto spesa/Pil, confronto tra nazioni, …), la soluzione di politica sanitaria che la nostra legislazione ha trovato per definire i bisogni da garantire e i servizi da erogare si chiama “Livelli Essenziali di Assistenza” (LEA), cioè quei bisogni, servizi e prestazioni che devono essere garantiti equamente a tutti in condizioni di appropriatezza ed efficienza nell’utilizzo delle risorse. Principio e scelta interessante dal punto di vista dei diritti, ma che purtroppo all’atto pratico non riesce a quantificare le risorse che sono necessarie per garantire l’erogazione dei LEA e la soddisfazione dei bisogni alle condizioni stabilite.

La dinamica della spesa sanitaria nel tempo (in forte aumento), tra i diversi attori (SSN, privati fuori SSN), e i diversi servizi (ospedale, territorio, sociosanità, ecc.), è lì a dimostrare come l’enunciazione del diritto (LEA) non è capace (per motivi che meritano di essere indagati, ma non in questo contributo) di dare indicazioni sulla quantità di risorse necessarie per garantire in pratica l’esercizio (la copertura) di quel diritto.

Alla domanda “quante risorse occorrerebbero per erogare i LEA come si deve?” non solo oggi non c’è risposta, ma non è nemmeno previsto un percorso che porti, al termine della strada, a individuare una risposta ragionevole. I suggerimenti che passano attraverso il confronto con altre nazioni sono problematici e non risultano adeguati e soddisfacenti perché isolano la sanità come se fosse un comparto chiuso che non si relaziona con il resto della organizzazione socioeconomica di un paese.

Piacerebbe a tutti mettere pro-capite in sanità 7.138 $PPA (dollari a parità del potere di acquisto) come la Svizzera, o 6.745 come la Norvegia, oppure 6.518 come la Germania, anziché i 3.653 dell’Italia (dati dal Rapporto OASI 2021), ma poi il nostro Pil pro-capite è di 34.321 dollari, mentre quello della Germania è di 47.662 dollari, quello della Norvegia è di 81.550 dollari e quello della Svizzera di 83.161 dollari (dati del Fondo monetario internazionale), per rimanere al solo aspetto strettamente economico.

La soluzione adottata nel nostro Paese anziché partire dal bisogno e indicare le risorse necessarie al SSN per esaudirlo agisce al contrario: definisce prima le risorse e chiede di rispondere con quelle risorse al bisogno. Ad esempio, il finanziamento del SSN per il 2022 è stato definito in 124 miliardi di euro.

Il sistema funzionerebbe nel momento in cui bisogno e risorse vengono a coincidere, ma le dinamiche che descrivono la spesa sanitaria dicono chiaramente che non è così e dicono che c’è un gap molto robusto tra bisogno e risorse: mancherebbero chi dice 20, chi dice 30, chi dice 40 o più miliardi di euro ogni anno. A titolo di esempio, come emerge dall’ultimo report sul monitoraggio della spesa sanitaria redatto dalla Ragioneria Generale dello Stato, nel 2021 la spesa sanitaria del SSN ha raggiunto la quota di 126,6 miliardi di euro, ai quali si devono poi aggiungere altri 37,16 miliardi di euro per prestazioni sanitarie pagate direttamente dai cittadini al di fuori del SSN.

E qui si innesta il secondo quesito: dove si vanno a prendere le risorse che mancano? La risposta di oggi è semplice: quello che non ci mette il SSN ce lo mette di tasca propria il cittadino. Ma, a prescindere dal fatto che la spesa attuale non è tutta appropriata, efficiente e necessaria, e quindi potrebbe essere numericamente inferiore a quella che oggi è, se dovesse risultare tutta a carico del SSN dove si va a prendere le risorse per coprirla?

Qui le soluzioni sono tante, sono tutte politiche (non solo di politica sanitaria) e si portano dietro conseguenze sociali rilevanti: vediamo qualche esempio.

– Le maggiori risorse per la sanità vengono tolte ad altri settori: scuola, giustizia, difesa, Pubblica amministrazione, ecc.

– Le maggiori risorse necessarie si prendono dalle tasche dei cittadini incrementando le tasse generali o introducendo tasse di scopo.

– Non si aumentano le risorse, ma si riducono i bisogni cui rispondere (esempio: odontoiatria) o i servizi da erogare (meno prestazioni nei LEA, liste di attesa più lunghe).

– Si ridisegna la struttura del welfare alleggerendo, ad esempio, le pensioni e spostando le risorse in sanità.

E così via. Non è necessario essere esperti della materia per identificare facilmente le drammatiche conseguenze per alcuni, o per alcuni settori e servizi, delle esemplificative proposte che abbiamo elencato, ma non ci sono alternative: o si imbocca una di queste (o altre) dolorose strade o il SSN è necessariamente destinato a implodere nonostante i (modesti) miglioramenti che si possono sempre introdurre attraverso un uso più efficiente e appropriato delle risorse oggi a disposizione.

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