Dopo 40 anni un migliaio di giornalisti del New York Times è sceso in sciopero. Ha respinto un’offerta ultimativa dell’editore di adeguamento retributivo del 3% contro una richiesta del 4,6%, mentre l’inflazione Usa viaggia da mesi fra il 7% e l’8%. Lo “strike” è avvenuto – altra notizia – sotto l’egida di una “gilda” aziendale: un format para-sindacale che sembrava in declino irreversibile non solo fra i colletti bianchissimi di Manhattan, ma in tutta la Corporate America.
Negli stessi giorni, d’altra parte, il Presidente Joe Biden ha dovuto scavare nella sua agenda anche la mediazione fra gestori e le rappresentanze dei lavoratori delle ferrovie statunitensi: sotto minaccia di uno sciopero sotto le festività natalizie, potenzialmente “disruptivo” anche per i consumi, dopo due anni di strozzature da Covid nelle catene di rifornimento. Hanno incrociato le braccia anche 48mila assistenti tecnici dei 10 campus dell’Università di California, mentre lo stato d’agitazione è ormai endemico ad Amazon, che sta preparando migliaia di licenziamenti (come del resto Facebook e Twitter dopo l’arrivo di Elon Musk).
Emergenza inflazione, diseguaglianze socio-economiche incistate, ritorno di gestione sindacale delle relazioni fra lavoratori e datori. È una dinamica complessa che pare per ora investire più gli Usa dell’Europa: anche se in Gran Bretagna il Governo conservatore ha già dovuto mettere in preallarme l’esercito per fronteggiare le agitazioni crescenti nella sanità pubblica.
I lavoratori scioperano contro l’inflazione “importata” con il Covid e con il caro-energia acceso dalla crisi geopolitica. Lamentano come la perdita di potere d’acquisto getti benzina sul fuoco di salari da tempo schiacciati sempre più in basso nella piramide dei redditi rispetto ai top manager e ai loro investitori. E non bastano certo a zittire proteste e rivendicazioni i livelli di quasi-piena occupazione, statisticamente resilienti anche alla pandemia (ma il Covid ha visto diminuire la forza lavoro negli States).
Le imprese ribattono che entrambi i fattori macro di pressione (flussi di commercio non normalizzati e tensioni geopolitiche con forti impatti sui prezzi di petrolio e gas) colpiscono ricavi e profitti di manifattura e servizi non meno delle famiglie. Guardano con preoccupazione alle mosse anti-inflazione delle banche centrali su tassi e credito. E, soprattutto, rilanciano l’allarme su una spirale prezzi-salari: di inflazione auto-alimentata, come negli anni ’70 su entrambe le sponde dell’Atlantico.
È su questo sfondo che i casi di proteste sindacali strutturate sono cresciute negli Usa del 10% nell’ultimo anno, mentre le richieste di tutela al National Labour Relations Board – un’agenzia federale – sono aumentate del 57% rispetto al 2021. Starbucks è con Amazon il campo di battaglia più’ caldo di una re-unionization apertamente appoggiata dalla Casa Bianca. Nel 2020 – l’anno più duro della pandemia anche negli Usa – il tasso di sindacalizzazione aveva registrato un rimbalzo dal 10,3% al 10,9% per cento: dopo un quarantennio di declino quasi continuo da quota 22%. L’anno scorso il tasso era ridisceso ai livelli pre-Covid, ma i dati dell’anno in chiusura promettono nuovi rialzi.
Nel frattempo il Presidente Biden, uscito rafforzato dal passaggio del voto mid-term, è atteso alla conferma effettiva del più importante impegno elettorale finora non realizzato: il raddoppio del salario minimo da 7,25 a 15 dollari. L’aumento è divenuto operativo per i dipendenti pubblici federali, mentre – secondo una prassi statunitense – alcuni grandi gruppi hanno alzato autonomamente i livelli retributivi minimi (ma spesso a fronte di riduzione degli organici). Ma gli aumenti salariali sono a loro volta inflazionistici? Puntano solo – come sostengono i critici – a stabilizzare in termini di redditi nominali la massa di liquidità immessa sia dall’Amministrazione Trump che da quella Biden sotto forma di sussidi pandemici straordinari? Quanto invece il nuovo protagonismo sindacale restituisce al sistema economico meccanismi di riequilibrio (sociale) che parevano definitivamente smantellati da trent’anni di finanziarizzazione estrema?
La questione si profila come centrale nella lunga campagna elettorale per le presidenziali Usa del 2024. Con effetti contagio già visibili in Europa, soprattutto se la crisi russo-ucraina dovesse rendere semi-permanente un’inflazione a cavallo delle due cifre.
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