Giuseppì era un uomo sui trent’anni, “un bell’uomo, capelli corti e piuttosto ricci, d’un castagno morato come barba e baffi. Ha occhi scuri, buoni e profondi, seri molto, direi anche un poco tristi. Ma però quando sorridono divengono lieti e giovanili” (Maria Valtorta). Passò alla storia come l’uomo dalla pena più schifosa: s’accorse che la creatura che credeva migliore di tutte era fallibile anche lei. Lei, Myriam di Nazàreth, il sogno bambino che gli esplodeva nel petto.
È un uomo, e nessun uomo può regger un’infamia così: “Tornatene a casa tua Maria. Vattene in silenzio, però: che nessuno possa offenderti neppure per un istante. Ti vorrò bene sempre, comunque”. Nessuno degli umani onesti, men che meno Myriam, potrebbe tentare di presentare una giustificazione.
Furon attimi brevi, brevissimi ma tremendi per intensità e colorazione quei giorni dentro i quali sta nascosta la passione di san Giuseppe. Tutt’intorno martellano i sospetti d’una città pettegola e sin troppo loquace quand’è in gioco la reputazione altrui: “Guardate bene che faccia ha l’ingenuo – s’odono voci fuori della bottega del carpentiere -: non è un uomo uno che reagisce così. Guardate bene che faccia ha l’adultera”.
Maria, da parte sua, stava in attesa d’un segno dal Cielo: “L’Iddio non mente – borbottava –: Dio dona e toglie, lodato sempre sia il suo nome!”. La prova è grandissima: “Con la grazia di Dio prometto di esserti fedele sempre: nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, di amarti e di onorati per tutti i giorni della mia vita”. Nel frattempo, Giuseppe accetta d’esser lapidato perché non venga lapidata lei.
Ogni pettegolezzo, però, muore quando s’infila nell’orecchio d’una persona intelligente: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prender con te Maria, tua sposa“. Stavolta è il Cielo a intervenire, formulando la versione maschile dell’annunciazione a Maria: l’annunciazione dell’angelo a Giuseppe. Poca roba questo carpentiere semisconosciuto di Galilea, ma è così che va il Cielo, che si va in Cielo: ci son i mezzi blindati, i potentissimi laser, i missili teleguidati che ci consentono di fare guerra seduti dal divano. Eppure Gerico è caduta al suono di una tromba, Davide ha avuto la meglio su Golia con una piccola fionda e cinque sassi: quando Dio vuol far guerra al mondo, (ri)sceglie l’insignificante, ciò che appare sconfitto in partenza. Le cose minuscole, quelle che fanno pochissimo chiasso.
Con Dio funziona che chi meno si sente sicuro dei suoi mezzi alla fine vincerà: “fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore, prese con sé la sua sposa” (cfr Mt 1,18-24). Quando gli capitò quel che gli capitò – e a nessun uomo si augura che gli capiti quello che capitò a quel sant’uomo – non si mostrò sprezzante e borioso, ma semplicemente disse: “Diommio, ho paura di quel che mi sta succedendo!”. Avere paura è una cosa, lasciare che la paura ti afferri per la cosa e ti giri come una trottola è un’altra cosa. Ammise d’aver paura, d’aver perso il controllo della sua esistenza: fu così che il Cielo s’infilò dentro e, da dentro, gli rasserenò il suo cuore. Far entrare qualcuno nelle proprie paure è più intimo che andarci a letto.
Disse cose riservate alla sua amata: “Per quanto riguarda me, Myriam, ho deciso di rinunciare ai miei piani: mi assocerò ai tuoi”. Fu così che Giuseppe, il solo giusto rimasto in tutto il casato di Davide, iniziò a fare carriera, la carriera che il Cielo gli chiese di tentare: quella d’aiutar Iddio a inserirsi bene nel mondo. Un giorno poi, dopo trent’anni vissuti gomito a gomito tra casa e bottega, come tutti i figli anche il loro li saluterà per filar via dritto per la sua strada: è destino di tutte le famiglie, un giorno, accettare di far dipendere la loro sorte dalle scelte dei loro figli. Lasciando mille dubbi nei cuori di mamma e papà: “Che padre potrà essere stato uno come me, Maria? Sono stato uno zimbello?”. E Maria a cercare di rasserenarlo: “Ti amava, Iosèf, ammirava la tua misura di stare nella vita come uno che chiede permesso ogni giorno” (Erri De Luca).
Ogni bellezza è complicata: “Beato te, Giuseppì, perché hai creduto”. Non era facile, ma fu felice.
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