“Toglietemi dagli occhi questi spregevoli panni e questa capanna indegna del Dio che adoro!” Questa frase spudorata è stata pronunciata a metà del secondo secolo dopo Cristo da un fervente cristiano mediorientale di nome Marcione, ricco armatore e generosissimo finanziatore delle comunità di Roma.

Marcione era religiosissimo, scrupolosissimo, aveva un’idea alta della divinità e perciò non poteva accettare che Dio si manifestasse non in gloria cristallina ma nella misera disdicevole condizione di un bambino partorito non in clinica d’eccellenza ma in una stalla di fortuna, deposto non in una culla termica ma in una poco igienica mangiatoia, riscaldato dai fiati umidi e pesanti di un asino e un bue quando le bollette del gas e della luce non erano affatto alle stelle.

Marcione. Se non altro lui – ignaro precursore del razionalismo moderno – il Poverocristo l’ha rigettato senza ipocrisie né infingimenti. Né edulcorazioni: quelle che usiamo noi “moderni”, talché la capanna ha il comfort finto-genuino del Mulino Bianco, la mangiatoia l’artefatta gioiosità della prima colazione dei Caroselli  e la cometa è una luce sulla stagnola blu dei Baci Perugina in versione Dolce & Gabbana.

Se il Natale è una poesia bucolica (usa e getta: durata di un giorno), ha ragione Marcione. Il quale, tagliando dal vangelo di Luca nascita e infanzia di Gesù, lo fa apparire sulla scena del mondo magicamente, adulto, senza natali umani, senza carne umana, spirito o fantasma tutto risolto nella sua missione di rivelare il Dio-Amore, del tutto discontinuo e indipendente dal Dio-Giustizia del Vecchio Testamento.

Ma oggi è Santo Stefano. Il protomartire. Nella comunità cristiana primitiva di Gerusalemme era stato nominato uno dei sette diaconi, quelli dediti a organizzare il sostegno caritatevole specialmente alle vedove. Praticamente era il capo del Banco Alimentare. E lo faceva, esplicitamente, in nome di Gesù. Con tutto ciò, perché diamine abbiano messo nel calendario liturgico un martirio il giorno dopo l’evento gioioso della nascita di Gesù è domanda più che legittima. Vediamo. Domani, 27, è festa di San Giovanni apostolo. Posdomani 28 ancora martiri, tanti, i bambini innocenti vittime di Erode furibondo per la nascita di un nuovo insidioso re.

La liturgia della Chiesa ha voluto posizionare subito dopo il Natale la memoria dei “comites Christi”, cioè i più vicini nel suo percorso terreno e primi a renderne testimonianza con il martirio.

Qui si capisce che il Natale è una cosa seria, mica da Mulino Bianco. Stefano – a parte gli inconsapevoli bambini della strage di Erode – è il primo uomo che ha dato la vita per Cristo. Non per un ideale, per un Dio, per un valore assoluto: proprio per il Poverocristo nato da una donna, in una stalla, deposto nella mangiatoia, eccetera eccetera. Con un Dio uomo puoi essere totalmente assimilato, la sua vita è vita della tua vita. Stefano muore identificato con Cristo, ripetendo infatti le sue stesse parole di perdono per i carnefici.

Santo Stefano è la risposta a Marcione e al razionalismo moderno. Sia l’antico armatore, sia tanto pensiero contemporaneo, possono arrivare ad ammettere un Dio altissimo ma “immaginabile”. Che sia bucolico come il Mulino Bianco o incontaminato eterno Amore come nel marcionesimo, che sia, ecco, idea pura, purissima idea: è “immaginabile”. E se è immaginabile, riesco a possederlo.

Quello che non è immaginabile – che infatti nessuno nella storia ha mai immaginato – è che il principio e la ragione di tutto si sia fatto carne, umanità gravata di tutto il dolore, il male, la contraddizione, fino alla morte, e su tutto questo vincitrice con la Resurrezione. Con ciò realmente corrispondendo al cuore profondo della natura umana.

Questo stabilisce una speranza certa e verificabile di fronte all’orrore indicibile della guerra in Ucraina. Cosa che con il Dio-Idea di puro Amore e con il Dio del Mulino Bianco è assurda. Del tutto impossibile.

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