L’ho sempre paragonato, sin da bambino, all’uomo che alle sette e mezza di sera abbassava la serranda al negozio in centro al paese. Perché Silvestro, il santo del 31 dicembre, è anche il santo che abbassa le serrande all’anno ch’è sul punto di concludersi. Cosciente o meno che sia, anche quest’anno son stato l’uomo dipinto da Issa Kobayasghi: “Sta come un pesce / che ignora l’oceano / l’uomo nel tempo”.
Che l’abbia vissuto con consapevolezza o meno, è passato – mi è passato giusto davanti – un altro anno di cancelli da aprire, di opportunità da cogliere, di chitarre da suonare. Tant’è che quando arriva Silvestro, l’uomo di saracinesche e serrande, c’è un unico rimpianto che mi tormenta l’anima: non è quello di non avere avuto nessuna opportunità, tanto meno quello di non averla saputa cogliere. Il grande dolore resta quello di non averla saputa riconoscere: era così nascosta dietro le spine, che la rosa mi è sfuggita dallo sguardo. E adesso, allo scadere del tempo, mi accorgo di non aver mai desiderato così tanto di poter avere una seconda opportunità per riuscire ad incontrar qualcuno per la prima volta. Visto che la prima volta non l’ho saputo riconoscere al volo.
Me la faccio, me la rido: “Ero troppo concentrato sugli ostacoli da essermi perso delle opportunità gigantesche!” mi rinfaccio. E, perdendole, le ho perdute per sempre: maledizione. Occasioni con la fisionomia d’un volto, d’una mano, di un sorriso: incroci, intuizioni, predilezioni, tocchi e rintocchi di una vita corsa sul filo del tempo. Il tempo me l’ha ripetuto ad ogni piè sospinto: “La sera è dei folli, dei poeti, degli amanti, di tutti quelli che hanno il coraggio di dare un’opportunità all’impossibile”.
Sulla mia scrivania, per concentrarmi, tengo sempre un limone fresco: è una delle tante stramberie che rende leggermente naïf la mia anima. Il fatto è, però, che dovrei anche ricordarmi che il pompelmo è un limone al quale è stata data un’opportunità e lui ne ha saputo approfittare. Non come me che, in quest’anno così ricco d’opportunità, son stato lì a calcolar s’era più economico il fatto d’investire il tempo o di farmi investire dal tempo.
Le serrande abbassate di Silvestro, anche quest’anno, mi riportano a galla le omissioni d’un anno appena trascorso: è incredibile riuscire a scorgere, anche solo riflessa in un rimpianto, la grande differenza che c’è tra colui che sono e colui che avrei potuto diventare se, solo, avessi (rac)colto al volo le opportunità che hanno fatto capolino da me.
Nemmeno quest’anno mi sono reso conto d’avere una vita soltanto: di una seconda occasione, in quanto a vita, so già che non esiste possibilità. Eppure, a guardarmi indietro in quest’anno, più di qualcosa mi è sfuggito tra le dita: “Persa per sempre!” è stato l’eco lasciatomi in eredità da quelle cose perdute. E già so che passerò il resto della mia vita a cercare di ritrovarle, sapendo già che non ci riuscirò: certi attimi, certi incontri, o li acciuffi al volo o li perderai per sempre. E il mio passato non è soltanto ciò che è successo, ma anche quello che sarebbe potuto succedere e non è avvenuto: “Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli che ho molto peccato in omissioni”. Omissione di soccorso è reato penalmente perseguibile: l’omissione, in quanto al tempo, è una pena che si sconterà per la vita intera. “Avremmo voluto, avremmo dovuto, avremmo potuto: le parole più dolorose del linguaggio” (J. Coe). Il rimpianto è una grammatica dolorosa.
Ritenterò, perché di sicuro ritenterò, l’anno prossimo a venire: troppa ansia nel vedere tutti quei vuoti lasciati indietro. Vuoti che non si riempiranno mai più, vuoti eterni, incolmabili: sono limoni mai diventati pompelmi, malgrado avessero avuto anche loro l’occasione d’oro per guadagnarsi il picco massimo. “Non te la prendere: vedrai che col tempo le ferite si chiuderanno” mi dico tra me, a mo’ di conforto. Si chiuderanno, forse: nel frattempo, però, rischio di chiudermi anch’io. Anche no, perché “in te, Domine, speravi: non confundar in aeternum” (Amen).
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