Per la prima volta dal medioevo, da quando Gregorio Magno inviò Agostino di Canterbury a evangelizzare i Britanni, il cristianesimo in Inghilterra – sommando tutte le confessioni in cui esso si articola sull’isola – è religione di minoranza. Ad attestarlo è il prestigioso Office for National Statistics di Sua Maestà che rivela come su 67 milioni di persone – tante sono quelle che compongono la popolazione di Inghilterra e Galles – solo 27 milioni si riconoscono nella fede in Gesù Cristo.

Il dato non è eloquente in sé, quanto nel contesto degli altri elementi di riflessione forniti dall’indagine, ossia che le altre religioni e la spiritualità dell’isola sono altresì in forte crescita: aumentano i musulmani, gli induisti, i buddisti e – seppur in percentuale minore – perfino gli ebrei.

Si tratta, quindi, di una crisi esclusiva del cristianesimo. Una crisi che pare soltanto all’inizio: la cristianità tedesca sta alienando il 16% delle proprie chiese, dopo averne letteralmente distrutte “per inutilità” circa 200 negli ultimi vent’anni. In Spagna i battesimi annuali sono passati da circa 325mila (dato del 2007) a circa 200mila (dato 2021); in Catalogna i matrimoni civili toccano addirittura il 91%. “La chiesa muore lentamente in Europa e, come in altri Paesi, quella spagnola è entrata nel suo ciclo finale”, scriveva a maggio El País. “In Germania, come nel resto dell’Europa, la saga millenaria del cristianesimo è, ormai, saldamente incamminata sul viale del tramonto” gli faceva eco poche settimane dopo la Faz.

Tralasciando la desolazione dei dati francesi, irlandesi o polacchi, quello che emerge è che la crisi non colpisce un modello di cristianesimo: sono in crisi sia gli Stati protestanti che quelli cattolici, sia le conferenze episcopali progressiste che quelle saldamente conservatrici. Chantal Delsol in un suo recente pamphlet l’ha chiamata “la fine della cristianità”, evocando come conseguenza di tutto ciò “il ritorno del paganesimo”.

Diverse le soluzioni proposte da teologi e autorevoli figure del cristianesimo occidentale: si va da Rod Dreher e la sua “opzione Benedetto”, in cui si teorizza una comunità cristiana che si ritira dal mondo, trasmette la fede ai propri figli e attende tempi migliori, fino ad Adrien Candiard che esorta ad affrontare senza paura la notte “in questo tempo crepuscolare”.

Il punto, tuttavia, è forse più profondo e radicale: perché un giovane, una persona del nostro tempo, dovrebbe oggi scegliere di abbracciare il cristianesimo? Se uno ha bisogno di spiritualità, dove potrà trovare spiritualità migliore che nelle religioni orientali? Se uno, invece, desidera sentire forte il senso di appartenenza alla comunità, dove potrà rivolgersi se non all’ebraismo e all’islam? Se uno, infine, cerca qualcosa che lo aiuti a godere subito della vita, che cosa potrà trovare di meglio del nichilismo consumista che caratterizza i Paesi occidentali?

Perché, dunque, seguire una religione che non ha risolto le sue questioni con la sessualità, che naviga negli scandali finanziari e politici, che gestisce il potere ad ogni livello con boria e senso di superiorità, che vive in un tempo che non esiste più, parlando sempre di se stessa a se stessa in un’autoreferenzialità e in una litigiosità che poco appassiona chi vive con un po’ di consapevolezza la vita?

Noi oggi siamo di fronte ad una fede cristiana che parla ai poteri ma non alle coscienze, che chiede al potere di tutelarla perché non sa più parlare al cuore, che cerca di gestire le stesse coscienze per organizzare o cementare un proprio potere. Non è possibile in un contesto come quello di un articolo proseguire ulteriormente un’analisi che richiederebbe un libro intero, ma possiamo certamente offrire tre coordinate che, forse, possono disegnare uno scenario diverso.

La prima coordinata è quella legata al tempo in cui viviamo. Noi siamo nella pienezza del tempo. Questo è il tempo favorevole. Non per fare proseliti o riconquistare posizioni, ma per scoprire di più il Mistero. Il tema della vita è il dialogo con il Mistero che l’ha fatta: solo il cristianesimo si presenta nel mondo annunciando un Mistero inesauribile. “Molte cose ho ancora da dirvi – dice Cristo – ma al momento non siete capaci di portarne il peso”. La fede cristiana è all’inizio della sua storia: ha concluso il tempo della sua infanzia. Questo secolo segna il passaggio ad un’adolescenza affascinante e turbolenta.

La seconda coordinata riguarda che cosa il cristianesimo può ancora offrire oggi al mondo: un’esperienza di casa. Il catechismo, i seminari, le scuole, le iniziative pastorali o sono esperienza di casa, in cui uno percepisce un’appartenenza senza moralismi, oppure sono sovrastrutture di marxistica memoria. Se noi guardiamo dove la fede regge l’urto con il mondo, lì troveremo sempre delle esperienze di casa.

Infine l’ultima coordinata: per secoli abbiamo vissuto col mito delle sorti progressive, del fatto che il cristianesimo avrebbe inesorabilmente conquistato la terra, senza comprendere che è necessario che la fede cristiana riconquisti me. Siamo così impegnati a dialettizzare sulle risposte che la dottrina o la morale devono dare al mondo, che ci siamo dimenticati delle domande. E, in specie, delle domande che ciascuno di noi ha. Sono le domande di un seminarista, di uno studente, di un giovane, di una donna che non regge più la vita in cui è costretta a vivere, di un uomo alle prese con le complicazioni del nostro tempo. La fede è una risposta, ma quella che oggi manca è la domanda. E la domanda nasce sempre nel rapporto autentico con la realtà. L’educazione non è una ripetizione di contenuti, ma aiuto ad un rapporto vero con il reale.

Abbiamo bisogno di toglierci di dosso quell’acuta nostalgia che insorge nei cuori più sensibili e che ci porta a guardare i nostri giorni con uno sguardo crepuscolare. “Non manca mai lo spazio a chi corre verso Cristo” diceva Gregorio di Nazianzo. E, a ben vedere, il punto è tutto lì: noi – in fondo – verso cosa stiamo correndo?

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