La partita è finita. O almeno così sembra. Dopo che Musk ha fatto il suo ingresso in Twitter è scoppiato il caos. Gli inserzionisti fuggono in massa e la direzione aziendale, per cercare di evitare di vedere diminuire i suoi clienti, abbassa i prezzi. L’impero di Zuckerberg perde miliardi di dollari, il metaverso non funziona bene. Si cerca il modo di “monetizzare” WhatsApp. Crisi delle reti sociali. Vedremo se cambieranno.
In realtà, c’è già stata una trasformazione vertiginosa. Prima che Facebook esplodesse, nacque Six Degrees, che fu lanciato nel 1997 e non ebbe successo. Fino all’emergere di Twitter nel 2006, le reti erano social network, un modo per connettere amici e conoscenti. La trasformazione definitiva c’è stata nel 2009 con Instagram. In quel momento, i social network sono diventati social media, un canale di diffusione globale in cui tutti sono invitati a produrre contenuti. Non importa la loro qualità, non importa la loro veridicità. Tutti gli utenti finiscono per credere che i loro messaggi siano importanti, o almeno interessanti, e che abbiano il diritto a essere ripostati o a ricevere a un like.
Le aziende del settore fanno un sacco di soldi e gli investitori chiedono che generino dipendenza. Per questo è necessario che i social siano molto emotivi. La polarizzazione, l’offesa e le notizie false diventano prodotti molto redditizi. Tutto ciò provoca due effetti nel mondo non virtuale. Cresce il sospetto nei confronti delle emozioni, che sono sempre più considerate produttrici di soggettivismo e narcisismo. E cresce anche il sospetto sulla capacità di distinguere, di valorizzare. Sospetto verso gli affetti, sospetto verso la ragione.
Le reti, come i social media, accelerano un processo che era già atto da tempo. C’era stato promesso che, rinunciando alle forme tradizionali di autorità, la ragione ci avrebbe resi liberi. Ma quella promessa non entusiasma più nessuno. Anche la nostra fiducia nella scienza è scomparsa. “La scienza può spiegare come funzionano le cose, perché il mondo è come è biologicamente, fisicamente, chimicamente, matematicamente. Ma non può farci dire cosa dovremmo apprezzare, cosa c’è di vero sugli esseri umani. Non può dirci cosa rende la vita degna di essere vissuta”, dice Wendy Brown, una delle grandi teoriche del genere. È curioso che la lucidità in alcuni aspetti provenga in questo momento dal femminismo più radicale. La verità stessa comincia a vacillare e a tremare. “La questione del valore comincia a disintegrarsi e a diversificarsi, in modo che non ci sia più un insieme di valori che tiene insieme una società. Al contrario, i valori iniziano a moltiplicarsi. E c’è un crescente sospetto su chi e cosa possiede o genera la verità. Un dubbio sulla possibilità stessa che esista un vero modo di vivere. È un nichilismo in piena regola”.
Il sospetto, naturalmente, include la ragione: “La ragione sembra non essere in grado di aiutarci affatto con la domanda su ciò che è vero, ciò che rende la vita degna di essere vissuta, come dovremmo vivere, cosa dovremmo fare, quale dovrebbe essere il nostro orientamento etico e morale, la nostra forma politica organizzativa”. È un processo che, in modo popolare e massiccio, i social network hanno accelerato.
La “secolarizzazione della ragione”, della vera ragione, cioè della vera religiosità, si esprime, secondo Brown, come nichilismo o come “una religione che non deve dimostrare se stessa”, che non deve necessariamente essere ragionevole. È una forma di religione che si nutre di un sospetto quasi assoluto nei confronti della ragione e del sentimento. La natura umana è così corrotta che è necessario stabilire “un modo di dettare come le persone dovrebbero vivere a livello morale e politico e pretendere di far risorgere un’autorità in Dio senza fondamento”. Dobbiamo “portare ordine” su Twitter, sottoporre le reti a un “ministero della verità”, censurare Trump quando necessario, non importa quanto valga la libertà di parola.
E così la secolarizzazione genera nuove autorità “religiose” (anche mediatiche). Poiché nessuno può fidarsi di se stesso, dato che porta dentro di sé una deviazione strutturale, deve delegare a qualche esperto. Brown identifica il fenomeno con la diffusione di nuove forme di evangelizzazione. Proprio The Economist ha pubblicato qualche giorno fa un rapporto (“The Stand”) su questo argomento. In un mondo con così tanta sfiducia, sarebbe utile se le reti sociali tornassero a essere social network. I legami sociali aiutano a non cercare un’autorità estrinseca e a riacquistare fiducia nella capacità della ragione e dell’emozione di distinguere il vero dal falso.
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