Nel fiume infernale dei quotidiani messaggi che ti sfiniscono via email e social, non mi è sfuggita grazie a Dio questa pagliuzza d’oro. Trattasi di una specie di tema collettivo, assegnato a una classe prima in una scuola media pubblica di una cittadina lombarda. Mi dicono un po’ scassatella, multietnica e discretamente disdegnata dalla gente bene del posto. Non so di preciso il titolo del componimento, ma poteva essere “Parlaci di un tuo professore”, o più genericamente “Una persona che vi ha colpiti”.



Svolgimento

“L’arte viene insegnata ma senza una spada. Perché lui, il prof Nome Cognome (detto Giò da Lorenzo), ha una pazienza sovrumana ed è buono come una fetta di pane e nutella. I suoi occhi verdi come la primavera trasmettono allegria a tutti quelli che gli stanno intorno. Non passa inosservato, perché ha un fisico imponente: sembra un armadio, ma se lo apriamo, scopriamo al suo interno tanti vestiti colorati e ripiegati con ordine e cura. Le lezioni con lui non sono mai noiose perché non è mai giù di morale, racconta l’arte in modo creativo e ha sempre la battuta pronta. È sempre spiritoso e burlone, infatti un giorno voleva farci credere di essere il creatore di Google maps. Un giorno, entrando in classe, ha ‘preso lucciole per lanterne’: mentre dettava i compiti ha alzato lo sguardo e, indicando un vaso di terracotta che è su una mensola della nostra aula, ha chiesto: ‘Come mai c’è un panettone in classe?’ Inutile dire che la nostra reazione è stata una fragorosa risata! La sua spada nella roccia è una matita ben appuntita su un foglio bianco”.



Adolescenti

L’adolescenza è un’età difficile, e la preadolescenza (in oratorio: preado) se possibile ancor di più. Possono cominciare da lì problemi gravi. Sotto la lente dei ricercatori, che con i media diventa d’ingrandimento, ci sono i sintomi più macroscopici. Quello dei suicidi o dei tentati suicidi: secondo un Rapporto dell’Unicef, 1200 all’anno in Europa, cioè tre al giorno. Di questi, 161 tra i 10 e i 14 anni. Uno può dire: saranno casi estremi per problemi psichiatrici. Lo stesso Rapporto calcola che in Italia il 16,6% dei ragazzi tra 10 e 19 anni (sono 956mila) soffre di ansia e depressione. Questo nel 2019. La pandemia e il lockdown hanno aggravato le cose. Nel reparto di Neuropsichiatria dell’infanzia e adolescenza dell’Ospedale del Bambin Gesù, sono stati effettuati nel 2011 dodici ricoveri di minori per atti di autolesionismo o tentati suicidi; nel 2020 ne sono stati effettuati 300.



Soli e aggressivi

Poi ci sono quelli travolti dall’aggressività, praticata o subita. Secondo l’Osservatorio nazionale dell’adolescenza, il 6,5% dei minorenni sta in una baby-gang, il 16% ha compiuto atti vandalici e il 30% ha partecipato a una rissa. Se non c’è un padre, si cerca il modello nei compagni e il più forte vince. Un altro Rapporto, Indifesa 2021 promosso da Terres des Hommes, rivela che il 70% non si sente sicuro sul web, l’88% si sente solo, il 37% teme l’isolamento sociale, il 30% non si sente amato. Infine l’Istituto Piepoli ha calcolato che con la pandemia è aumentato del 67% il tempo che i ragazzi passano su cellulare e pc (senza contare le ore in didattica a distanza). Si può ben dire che le manifestazioni estreme sono sintomi di un disagio diffusissimo e serio. Le proposte prevalenti che si trovano in giro puntano prevalentemente sulla richiesta di supporti psicologici e sussidi economici. Tutto utile, specie i soldi. Ma l’emergenza prima che psico-economica è educativa. Siamo allo stress-test della figura dell’insegnante. E più profondamente della figura del padre.

Padre testimone

I ragazzi non hanno bisogno del padre-padrone, dell’istituzione autoritaria che il ’68 ha tolto dai piedi. Ma nemmeno del padre “evaporato” (Lacan-Recalcati), “bamboccione” (Antonio Polito, Contro i papà) che protettivamente “si adopra per risparmiare al figlio la fatica dell’affrontare la vita e così frena la sua creatività e annulla il punto infiammato del suo io” (Julián Carrón, citazione a senso del suo intervento alla presentazione del libro di Polito sopra citato, Milano 2013). Lasciando i ragazzi preda di un “padre padrone invisibile”, il politeismo del mercato dove gli oggetti diventano i nuovi idoli” (Pasolini).

Il cuore della questione è educativo, e il cuore dell’educazione è l’io in rapporto con il padre, cioè con l’autorevolezza (auctoritas, dal latino augeo, aumento, faccio crescere). “I figli – è ancora Recalcati a dirlo – hanno bisogno di un padre-testimone… Che dica loro non qual è il senso della vita, bensì che mostri attraverso la sua vita che la loro esistenza può avere un senso”. Questo salvifico arco voltaico scatta solo per attrattiva, in un incontro. Per umana empatia. Il tema di prima media mostra che è possibile, e anche in fondo semplice. Anche per un prof di arte (pardon, di educazione all’immagine) precario di lungo corso a milletrecento euro al mese da settembre a giugno, se va bene, e cassintegrato ogni estate a un bel po’ meno. Purché il prof sia vero, a suo modo figlio, e rischi la sua umanità protendendosi verso il “punto infiammato” dei ragazzi.

Perché i soldi non sono tutto nella vita (però aiuterebbero, e nel nostro caso sarebbero ben spesi. O no?).

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