Vogliamo una rete di sicurezza. Che non ci siano sorprese. Vogliamo libertà, ci mancherebbe altro. Però vogliamo anche che la nostra libertà e quella degli altri non ci colga di sorpresa, che non ci siano colpi di scena nella vita, né nella storia. Desideriamo che tutto funzioni come da manuale d’istruzioni, tutto deve accadere all’interno di un sistema con chiare prospettive. Non c’è niente di più facile che stabilire le cause e predire le conseguenze, pensiamo. Tutto deve succedere dentro un sistema capace di assorbire le contraddizioni, ridurre le differenze e dare significato ai piccoli e grandi avvenimenti secondo certe leggi di comprensione fissate in anticipo. Questa è la nostra sicurezza: l’illusione di un sistema “sufficiente”.

Per questo ci fanno paura i meticciati. Non perché, al fondo, non ci piaccia la storia così come accade. I tradizionalisti desiderano usanze, forme culturali, sistemi di interpretazione immutabili. I progressisti vogliono la stessa cosa: altre usanze, altre forme e altri sistemi, però anche questi invariabili… Quello che è certo è che la storia reale, quella che non rientra negli schemi, quella che dà forma a nuovi miscugli e a nuove mescolanze, non si può fermare. Ciò che viene ritenuto certo deve essere sottomesso alla prova di ciò che accade, deve tornare a essere certo in altre modalità, nelle nuove forme culturali. È ciò che rende interessante il tempo: l’apparizione nella vita e nella storia di nuovi mondi non immaginati prima.

Opporre resistenza al modo in cui succede realmente ciò che succede, e farlo succedere secondo un pensiero prestabilito, ha effetti patetici. Lo si è visto negli scorsi giorni nelle dichiarazioni del Presidente del Messico. Il populismo latinoamericano ha risuscitato il “sistema sufficiente dell’indigenismo”. È curioso, perché è un tipo di interpretazione incoraggiato generalmente dalle élite meno meticciate. López Obrador, per risolvere i suoi problemi interni, ha attaccato le aziende spagnole, paragonandole ai conquistandores del XVI secolo. Ha anche preteso che, in occasione dell’anniversario dell’indipendenza, gli spagnoli chiedessero perdono per quello che avevano fatto nel suo Paese.

C’è un’onda revisionista che vuole, ancora una volta, “cancellare” la scoperta di Colombo, la conquista e l’evangelizzazione. L’argomento è vecchio. Come successo in Spagna, nel XIX secolo il Messico si trovò coinvolto in uno scontro permanente tra liberali e conservatori. Erano due sistemi chiusi che davano ciascuno all’altro la colpa di quanto era successo. Quando non si vogliono accettare le conseguenze derivanti dall’essere liberi diventa sempre necessario un nemico, al quale addossare la responsabilità. I liberali attribuivano il ritardo del Messico alla conquista spagnola che, con il suo sistema coloniale, aveva sfruttato e distrutto il tesoro indigeno. I conservatori affermavano che la mancanza di fede delle élite del Paese aveva provocato un disastro. Questi ultimi erano incapaci di valorizzare la ricchezza di cambiamenti che aveva portato la modernità.

In realtà, liberali e conservatori dimenticavano il passato indigeno, perché entrambi usavano la storia come strumento di potere. Dovette arrivare Octavio Paz per mettere in evidenza che il Messico non era una colonia, che in realtà era “uno dei regni sottomessi alla corona spagnola, in teoria uguale ai regni di Castiglia, Aragona, Navarra o Leon”. Lo scrittore smontò anche il mito che la separazione dalla Spagna avesse liberato gli indios dal giogo coloniale. Dimostrò, infatti, che la loro situazione peggiorò dopo un’indipendenza guidata da alcune élite (creole), poco meticce e molto bianche.

Enrique Krauze, discepolo di Octavio Paz e molto lontano dal mondo cattolico, ha proseguito negli ultimi mesi insistendo su quello che diceva il suo maestro: “Cosa fu la Nuova Spagna e cos’è stato il Messico? Un crogiolo. Non un mosaico, né una tela a brandelli: un crogiolo”. A differenza di altri imperi, quello spagnolo ha fatto nascere “il meticciato, che alcuni negano o relativizzano, ma che io considero il miglior lascito della Nuova Spagna al Messico. La sua realtà è evidente nella vita quotidiana (…) nella lingua, con il predominio dello spagnolo, col quale i messicani scrivono poesie da prima del XVII secolo, ma le lingue indigene sono sopravvissute e hanno influenzato il castigliano con una serie di particolarità”. E aggiunge: “Sul piano intellettuale e morale, il meticciato è debitore dei concetti di libertà naturale e uguaglianza cristiana (…) nessun prodigio del crogiolo messicano è comparabile alla Vergine di Guadalupe”. Un liberale giacobino del XIX secolo, Ignacio Manuel Altamirano, indigeno puro e grande editore, aveva scritto: “Nel caso della Vergine di Guadalupe, tutti i partiti sono d’accordo e all’ultimo, nei casi disperati, il culto della Vergine messicana è l’unico legame che li unisce”.

Il risultato del meticciato in Messico fu qualcosa di nuovo, più ricco, più interessante di ciò che c’era prima sui due lati dell’Atlantico. È molto significativo che liberali e conservatori volessero, e vogliono, cambiare i fatti autentici, mettendoli nei loro sistemi chiusi. La tentazione di escludere l’altro per potergli dare la colpa del rischio di essere liberi, per non doversi preoccupare dei colpi di scena della storia, è sempre presente. Dopo il meticciato del XVI secolo, gli spagnoli furono ossessionati dalla “purezza di sangue”. Un buon cristiano non poteva avere una goccia di sangue giudeo. In quel caso era il cattolicesimo che diventava un “sistema sufficiente”. Non doveva succedere, era un’eredità genetica.

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