Mi dice il direttore di questo giornale: “Fai l’editoriale su Mani pulite, tu c’eri trent’anni fa”. C’ero sì. E stavo nella redazione politica de Il Giorno, dove iniziavo a metà mattina e avanti fin quasi a notte. Mi alzavo con la sigla del neonato Tg5, che dal 17 febbraio del ’92 accompagnava il mio caffè con la notizia di qualche politico inquisito o arrestato. Man mano che passava il tempo solo il sentire quella sigla mi provocava una strana fastidiosa inquietudine, un disagio che cresceva già con il crescere del plauso forcaiolo del popolo e di non pochi colleghi e che divenne assai presto un giudizio prima dubbioso poi critico su quanto stava accadendo.
Due aspetti, in particolare, mi provocavano quasi una ripulsa: innanzitutto l’idea che finalmente un potere, quello giudiziario, liberante e salvifico, fosse sceso in campo con i suoi eroi-angeli vendicatori; in secondo luogo la palese non equanimità nell’orientamento delle indagini: furono decapitati per l’eternità i partiti che avevano governato il Paese (Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli) e sostanzialmente risparmiate le forze eredi del comunismo e del fascismo, oltre alla più recente Lega di Bossi, che in quel momento non era referendaria ma manettara. Quanto al termine giornalistico “Mani pulite” fu preso di sana pianta dai manifesti del Pci di Enrico Berlinguer per le elezioni amministrative del 1975, “Noi abbiamo le mani pulite. Chi può dire altrettanto?”: con cui il partito che prendeva valigiate di rubli metteva al centro la “questione morale”.
Nel ’92 non c’è stata solo Mani pulite. Ci sono stati tanti altri fatti, tutti in qualche modo interconnessi, traumatici e destabilizzanti. Sono noti. Li accenniamo soltanto. Fine dell’Unione sovietica: non siamo più importantissimi per gli Usa; attacco speculativo alla lira (e alla sterlina) che perse il 30% del valore sul dollaro, mentre Soros fece una montagna di soldi e il governo Amato fu costretto a una maxi manovra da 92 miliardi più il prelievo forzoso dai conti correnti degli italiani; uccisione da parte della mafia dei magistrati Falcone e Borsellino; privatizzazione dell’industria pubblica – gas, elettricità, telecomunicazioni – come deciso con la finanza inglese sul famoso yacht Britannia l’anno prima; elezioni politiche dove la Dc perde 5 punti ma soprattutto la distanza tra il Psi e il Pds si riduce al minimo storico: 13,6% contro 16%, facendo ritenere possibile (e temere) un cambio di leadership della sinistra.
La politica ha ormai perso moltissimo del suo potere e, di conseguenza, consenso. Il neo-capitalismo da anni spingeva per limitare il primato della politica sull’economia: più mercato, meno Stato. La magistratura, che fino ad allora se ne stava abbastanza al riparo del potere politico, conquista potere e prestigio. Lo mantiene finché regge un quadro in cui una parte politica e metà del Paese hanno un nemico da combattere, l’erede di Craxi, dei liberali e dei democristiani non di sinistra, al secolo Silvio Berlusconi. Adesso che non c’è un Nemico… appare che nemmeno le toghe sono tutte verginelle e il più giustizialista del pool di Mani Pulite viene rinviato a giudizio.
Trent’anni dopo ci appare chiaro che non esiste un Potere salvifico. Non era tale lo strapotere (via via indebolitosi ed eroso) dei partiti tradizionali, diventati onnivori e tangentari per il combinato disposto di due fattori: da un lato, il modello di partito leninista e pervasivo adottato già dalla Dc post degasperiana di Fanfani a imitazione del Pci di Togliatti, e poi da tutti, che diventa sempre più padrone invasivo della società e costoso; dall’altro l’atavica ipocrisia per cui non si dice che la democrazia costa e che qualcuno deve cacciare i quattrini. In maniera lecita e trasparente.
Intanto dovremmo avere imparato questo: che un sistema non si cambia per via giudiziaria. Non che non si debbano perseguire i reati. Ma si doveva, e si deve, rendere chiaro, trasparente e plausibile il finanziamento della politica.
Gli apparati dei partiti sono stati fortemente ridotti per forza. Acuendo per i singoli il bisogno di risorse, in particolare per le competizioni elettorali. Mentre aumenta la distanza dalla gente. E questo è un bel problema. L’altro bel problema è riaggiustare l’equilibrio tra i poteri, politico e giudiziario, da troppo tempo in subbuglio con grave nocumento per il Paese.
Quanto al primo problema la strada per il recupero di una politica leggera e trasparente e utile non può che passare attraverso un’educazione ai valori ideali e alla valorizzazione dei corpi intermedi. Non ci sarà buona democrazia in cui a una massa indistinta di elettori corrispondano partiti-macchine autoreferenziali del consenso via demagogia e indigestione di social e talk show. I corpi intermedi, d’altro canto, richiedono un’auto-attivazione della società dalla base, forme di rappresentanza degli interessi a partire da esperienze di impegno con i problemi e dalla volontà di raccordarli al bene comune. I partiti clientelari e onnivori sono esistiti a fronte di una massa di clienti, individuali o corporativi. La politica l’abbiamo fatta o la facciamo marcire anche noi.
Quanto al secondo problema, sappiamo che la dottrina classica del costituzionalismo, da Tocqueville in qua, stabilisce la distinzione e l’autonomia dei tre poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario (e la sommissione di tutti e tre alle leggi). Sappiamo però, dalle lezioni di Romano Guardini, Pier Paolo Pasolini, Luigi Giussani (e Karol Wojtyła), che anche un potere distinto e in equilibrio può facilmente diventare un Potere con la P maiuscola, cioè pre-potente e in qualche modo “irriformabile”, a fronte di una società “im-potente”, o clientelare che è cosa simile, ovvero, pasolinianamente “omologata”.
Occorre cioè un’accettazione non solo dell’autonomia ma anche del limite di un potere; una autolimitazione. Nessun potere è salvifico. Chi lo lascia credere, inganna il popolo. È successo. È successo che si sono perseguiti reati – individuali per forza – di corruzione o finanziamento illecito sperando, o facendo credere, o lasciando credere – di essere protagonisti del risanamento di un sistema (perché finanziamento illecito e tangenti erano certamente un sistema). Errare, siamo larghi di manica, può essere umano. Perseverare no.
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