Saremo protagonisti della nuova guerra, anche se non abbiamo mai messo piede nelle vaste steppe russe e non ci siamo arruolati come volontari nell’esercito ucraino. Non è una nuova Guerra Fredda, è un nuovo tipo di conflitto, a cui tutti partecipiamo.

Putin è diventato prevedibile. Agisce secondo uno schema che ricorda da vicino quello utilizzato in Georgia e Crimea. Sicuramente ricorrerà a formule già utilizzate in Siria. Gli ultimi passi compiuti nel Donbas, nelle cosiddette “repubbliche popolari di Lugansk e Donetsk”, sono i soliti: con truppe false flag, in questo caso ucraine, milizie filo-russe attaccano i russi nella regione. La disinformazione si diffonde intensamente con il sistema creato negli ultimi anni dal Cremlino. E l’ingresso delle truppe viene giustificato dalla necessità di proteggere i figli della Grande Russia che vivono al di fuori dei suoi attuali confini.

Le ragioni geostrategiche ed economiche dell’offensiva sono state ampiamente analizzate nei giorni scorsi. Quelle personali e culturali tendono a essere dimenticate. Siamo soliti essere astratti quando descriviamo le forze che muovono la storia. Putin vuole garantirsi un’ampia zona di sicurezza occupando in parte o tutta l’Ucraina perché non esiste un grande fiume o una catena montuosa che faccia da trincea per Mosca. Putin, nonostante sia a capo di un Paese economicamente debole, vuole continuare a guadagnare peso nel mondo. L’Ucraina è il nuovo obiettivo dopo aver esteso la sua influenza nel Caucaso, nel Medio Oriente, in Libia e nell’Africa Centrale. Putin sa che la transizione energetica e la riduzione dell’uso dei combustibili fossili renderanno il petrolio del suo Paese sempre meno importante. Putin sa che i partner europei sono divisi. Putin sa che la polarizzazione degli Stati Uniti complica la reazione di Biden.

E Putin, e questo è un fattore da non sottovalutare, ha l’animo segnato da un affronto personale, da quella che considera una violazione della parola data dall’Occidente all’epoca della caduta dell’Unione Sovietica. Dopo la fine del comunismo, gli Stati Uniti e l’Europa avrebbero potuto fare della Russia il loro partner strategico. La rivalità non era inevitabile. Ma l’Occidente è stato arrogante e non ha avuto tatto di fronte a quella che considerava una vittoria assoluta sul sistema sovietico. Com’è stato chiarito alla Conferenza di Monaco del 2007, il Presidente russo ha una ferita sanguinante: è convinto che nel 1990 l’allora Segretario di Stato americano James Baker abbia offerto assicurazioni sul fatto che la Nato non si sarebbe estesa oltre la Germania dell’Est. Ed è anche convinto che i russi siano stati traditi. Il risentimento è aumentato negli ultimi anni.

Siamo di fronte a un altro caso di “affetto contrariato”. È un fattore decisivo per spiegare un conflitto. Va ricordato che la leggenda della “pugnalata alla schiena” di civili ebrei, usata per spiegare la sconfitta della Germania nella Prima guerra mondiale, servì a giustificare ampiamente l’inizio della Seconda guerra mondiale.

Putin ha già ottenuto molte cose. Il sostegno della Cina e il rispetto (paura) dell’Occidente. Il Presidente russo non può tornare indietro, né l’Occidente può acconsentire al ricatto riguardo la sovranità ucraina. Il conflitto potrebbe limitarsi a rafforzare l’invasione del Donbas (già avvenuta nel 2008) per chiedere il rispetto degli accordi di Minsk II. Soprattutto la celebrazione di un referendum sull’indipendenza. Può anche prolungarsi una situazione tesa come quella attuale, ma non può essere esclusa una più ampia invasione o sostituzione dell’attuale Governo ucraino con un regime fantoccio.

Lo scacchiere mondiale può cambiare molto. Il sistema di sicurezza europeo è già in discussione. Se diventerà necessario aumentare le sanzioni economiche dell’Ue e degli Stati Uniti, la Russia potrebbe chiedere aiuto alla Cina.

Non siamo di fronte a una guerra tradizionale o a una guerriglia. La “guerra ibrida”, di cui la Russia è esperta, presuppone l’uso sistematico della disinformazione, la strumentalizzazione dei migranti, l’intervento con fake news nei processi elettorali dell’Occidente, come è già successo negli Stati Uniti. La sfida ai nostri sistemi democratici non sarà esterna ma interna. Ed è per questo che in questa guerra siamo tutti protagonisti.

Stiamo già ricevendo false informazioni volte non solo a generare sostegno per la causa russa, ma anche a distruggere la fiducia nelle nostre istituzioni. La presenza di diverse migliaia di profughi al confine tra Bielorussia e Polonia qualche settimana fa è stato un magnifico esempio di come una falsa minaccia possa creare una situazione di panico (non c’è stata alcuna “invasione migratoria”). Serve più che mai un’Europa unita o un esercito europeo. Ma, soprattutto, è necessario che i cittadini europei rimangano in piedi. E questo significa non essere pigri nella critica (uso della ragione), sapere di chi possiamo fidarci e di chi no, non accettare la manipolazione dei nostri affetti, non tollerare che il nostro malessere si trasformi in cinismo o in pulsione distruttiva. Significa continuare a costruire. È più che mai necessario che ci siano protagonisti.

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