Un affetto contrariato

Ciò che è importante non è quello che c'è nella testa di un no-vax. L'importante è ciò che c'è nel suo cuore: un affetto contrariato

Piazza Walther. Il fascino dell’architettura di una città dell’Impero Austro-Ungarico. Di fronte, una cattedrale piccola, elegante, incominciata romanica per finire gotica. In un caffè riprendo gli appunti di lavoro delle ultime ore. Il sole si congeda tra i picchi delle Alpi. Sto per iniziare una trasmissione di tre ore. Alla radio, il mio capo mi ha chiesto un lungo reportage: devo raccontare cosa c’è nella testa di un no-vax.



Una delle mie prime conversazioni è stata con l’avvocata Renate. Ha un ufficio molto elegante e molto grande, abbellito da buona pittura contemporanea. Il suo cognome e i suoi modi evidenziano l’origine austriaca. Le ho domandato perché è contro i vaccini. Mi ha detto che non è contro i vaccini, poiché i vaccini contro il Covid non sono vaccini, ma materiale genetico. Le ho domandato ancora perché, se non sono vaccini, tutte le agenzie li considerano tali. Mi ha risposto che tutte queste agenzie avevano cambiato idea su ciò che fino a prima era da considerarsi un vero vaccino.



Le ho chiesto cosa pensa del fatto che il 70% dei ricoverati in terapia intensiva sono persone che non si sono vaccinate. Mi ha risposto che questi dati non sono certi e che ci sono rapporti che mostrano che, in realtà, i ricoverati in terapia intensiva lo sono per la reazione ai vaccini. Le ho domandato perché nelle manifestazioni no-vax ci sono state delle violenze. Mi ha risposto che questi incidenti sono stati provocati da infiltrati del regime. Le ho chiesto a quale regime si riferisse e mi ha risposto al regime totalitario in cui viviamo.

Ho salutato cordialmente l’avvocata Renate. Ho sceso le scale pensando che non si decide dopo aver conosciuto, si conosce perché si decide di conoscere. Non sono venuto per discutere con l’avvocata Renate, comunque non è stata possibile una conversazione con lei, non c’era nessun fatto dal quale potevamo partire. Malgrado Renate sembri un marziano, la capisco. Anche io a volte decido di non sapere ciò che sta succedendo realmente, di trasformare la sfiducia in un metodo. Fino a che mi accade qualcosa, o arriva qualcuno, che mi restituisce la fiducia.



Passeggiando per le piacevoli strade del centro di Bolzano ho poi parlato con Jürgen. È un allegro agricoltore che si occupa di mele. Ride in continuazione. Mi dice che non è contro i vaccini, che gli vanno bene anche dieci dosi. Però lui non se ne farà neppure una, perché è un uomo sano, respira l’aria pulita delle Alpi e questo gli permette di tenere preparato il suo sistema immunitario. Jürgen, come me in molte occasioni, si considera autosufficiente.

Laura e Karin sono due madri di famiglia. Mi hanno raccontato che ritireranno i loro figli dalla scuola pubblica. Per i bambini non è obbligatoria la vaccinazione, ma a loro non piace che li si educhi in una cultura delle mascherine e del distanziamento sociale. Pensano che nella scuola perdano i valori che vogliono trasmettergli. Preferiscono qualche scuola alternativa, organizzata da padri e madri come loro, che si svolge fuori del sistema, nel bosco, all’aria aperta. Mi dicono che il mondo dei no-vax ha incominciato a organizzarsi su Telegram. Mi raccontano che non possono utilizzare i trasporti pubblici, entrare dal parrucchiere o nei ristoranti, quindi organizzano servizi alternativi. Hanno creato una specie di società parallela, con maestri non vaccinati, parrucchieri non vaccinati, autisti non vaccinati. Le ascolto e penso che mi suona familiare ciò che dicono. Ultimamente ho sentito varie volte dire che per vivere nella verità bisogna ritirarsi dal mondo. Io continuo a credere che essere nel mondo sia il modo migliore di assaporare la verità. Per questo occorre considerare il mondo non come un nemico.  

Ho anche parlato con Graziano, professore di filosofia in una scuola superiore. Ha più di 60 anni, i capelli bianchi e un berretto simile a quello del Che. È tenero. Mi spiega che “il sistema” sta utilizzando il Covid per sottomettere la nostra libertà. Ha nostalgia del passato, di quando si occupavano le università per lottare per le libertà. Conosco anche la trappola della malinconia.   

Poi parlo con il direttore di una scuola e mi dice che gli mancano professori perché non ce ne sono a sufficienza vaccinati. Parlo con un’infermiera della terapia intensiva che mi conferma che si occupa, soprattutto, di quelli che non hanno voluto vaccinarsi. Parlo con una sindacalista che mi dice che c’è molta gente, contraria ai vaccini, che non potendo lavorare non arriva alla fine del mese. Alcuni vogliono uscire dal labirinto nel quale si sono infilati, ma non sanno come.

Comincia il programma alla radio e racconto che mi hanno inviato per spiegare ciò che c’è nella testa di un no-vax. E io confesso che ci siamo sbagliati. Ciò che è importante non è quello che c’è nella testa di un no-vax. L’importante è ciò che c’è nel suo cuore: un affetto contrariato. Di sicuro, se non ci fosse il Covid, troverebbero un altro motivo per protestare, per creare un mondo parallelo. Se non accade qualcosa o qualcuno, se le ferite non permettono di riconoscerlo quando accade, la frammentazione sociale non ha più freni.

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