Guerra e democrazia

Una volta conquistata, la democrazia, va difesa, tutelata e non sempre di fronte a tante scelte difficili si riesce a salvarla

La democrazia è in crisi, si dice ormai da qualche tempo. La democrazia può anche fare paura, al punto da scatenare una guerra, come si vede in questi giorni drammatici.

Sicuramente essa è una conquista mai definitiva e deve essere imparata continuamente. Questa convinzione ha ispirato il progetto “Conoscere per decidere”, la Scuola di formazione politica promossa dalla Fondazione per la Sussidiarietà, dalla Fondazione Leonardo, presieduta da Luciano Violante, e dalla “Società Umanitaria”, una delle più antiche realtà di formazione e cultura di Milano.

La democrazia che viene messa a tema dalla Scuola è concepita come un processo che nasce dal basso, in modo sussidiario, dalla società.

Nella seduta del 24 marzo 1947, Aldo Moro pronunciò queste parole: “Lo Stato assicura veramente la sua democraticità, ponendo a base del suo ordinamento il rispetto dell’uomo che non è soltanto individuo, ma che è società nelle sue varie forme, società che non si esaurisce nello Stato. La libertà dell’uomo è pienamente garantita, se l’uomo è libero di formare degli aggregati sociali e di svilupparsi in essi. Lo Stato veramente democratico riconosce e garantisce non soltanto i diritti dell’uomo isolato, che sarebbe in realtà un’astrazione, ma i diritti dell’uomo associato secondo una libera vocazione sociale”.

La difficoltà in cui versa tale ordinamento a livello globale è riassunta in un semplice dato: venti anni fa il 60 per cento dei Paesi aveva la democrazia, il 40 per cento non l’aveva. Oggi il rapporto è rovesciato.

Da tempo sono molti a metterla in discussione di fronte alle crescenti difficoltà di governare società complesse e plurali.

Come ha osservato Violante durante la presentazione della Scuola lo scorso 7 marzo, la democrazia crea un paradosso: chi non ce l’ha, la vuole; chi ce l’ha, è critico. In Italia un recente sondaggio “Ipsos” rileva che il 56 per cento degli italiani è disaffezionato, per usare un eufemismo, alla democrazia rappresentativa, e questo spiegherebbe l’assenteismo che oggi si vede persino nella partecipazione elettorale.

Il fatto è che la democrazia non esiste in natura: ogni democrazia è stata conquistata anche attraverso drammatiche rivoluzioni, perché di fatto chi detiene il potere si sente sempre minacciato dalla possibilità di perderlo. E una volta conquistata, la democrazia, va difesa, tutelata e non sempre di fronte a tante scelte difficili si riesce a salvarla. Quando la democrazia non viene curata, difesa ed esercitata, la storia ritorna indietro e rispunta inevitabilmente la violenza e la tragedia della guerra.

La crisi di questi giorni, che rischia di degenerare in un conflitto mondiale e in una guerra nucleare, è condotta da un potere autoritario (Putin si è autoproclamato Presidente a vita). Mentre le democrazie occidentali stanno mettendo in luce la loro debolezza nelle relazioni internazionali.

Quella che va curata soprattutto è la capacità di governare, la leadership, la visione verso cui andare rispettando i valori della libertà e quelli fondamentali delle persone. Affrontare il problema della leadership e della classe dirigente, oggi, nelle società democratiche è diventato ancora più complicato. E il problema riguarda non solo la politica vera e propria, ma tutti i settori della vita pubblica.

Da questo punto di vista, come acutamente ha notato ancora Violante, l’origine della debolezza nei Paesi occidentali è che ci sono troppi capi e pochi leader. Il leader ha una visione, una linea politica e la condivide, coinvolge gli altri, li mette al corrente di quello che vuole fare. Può decidere, in base a riflessioni collettive, a riunioni, a confronti, anche di cambiare una scelta in modo da rappresentare meglio i desideri del popolo e onorare il bene comune che le persone vogliono. Il leader risponde e appartiene a una comunità di uomini. Il capo, invece, è il classico uomo solo al comando. Il capo non appartiene a una comunità, ma arringa e impone il suo volere, con mille strumenti mediatici e informatici a sudditi che devono semplicemente dargli il consenso. Non semplifica i problemi, ma li banalizza. Il risultato è l’incapacità di affrontare e di risolvere i problemi. Questa incapacità è spesso la causa di guerre che hanno lo scopo di puntellare un potere interno in crisi, soprattutto quando l’economia scricchiola e i cittadini stanno male.

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