Il figlio di Marianna è nato pochi giorni fa nella capitale del dolore, a Mariupol. Gli aerei di Putin hanno bombardato l’ospedale dove stava per nascere. Il primo grido con cui il figlio di Marianna è venuto al mondo si è confuso con il suono rauco delle bombe che squarciavano il cielo. Il figlio di Marianna ha portato qualcosa di assolutamente nuovo a Mariupol, in Ucraina, in Europa, nel mondo. 

Putin causa migliaia di morti. Ripete quello che ha fatto in Siria. Negozia corridoi umanitari per avanzare militarmente, per dare l’impressione che la via diplomatica funzioni, per coinvolgere la comunità internazionale. Le truppe di Putin non entrano nelle città perché nei combattimenti strada per strada, casa per casa, perderebbero il vantaggio sulla resistenza ucraina. Putin assedia con freddo e fame, bombarda da lontano. Socializza il dolore, cerca il ristagno dell’invasione in un mare di sangue per forzare la resa. E i civili ucraini, i soldati ucraini, e anche quelli russi, sono uguali davanti alla morte. Sono tutte vittime. Putin è diventato l’unico carnefice e, per questo, ha smesso di essere lui stesso un uomo, ha ucciso l’uomo che c’è in lui. Le vittime ferite, in fuga, anche se apparentemente non si salveranno, rimarranno esseri umani, per sempre, fino a quando non ci sarà più tempo. Una morte alla fine assomiglia a tutte le morti. Ma la nascita del figlio di Marianna è unica, ogni nascita è diversa. Con quella nascita è iniziato, in mezzo alla tragedia, qualcosa di assolutamente nuovo. La storia, e non è un modo di dire, è ricominciata. 

Il figlio di Marianna, nascendo, ha introdotto in Ucraina qualcosa di diverso, qualcosa di qualitativamente differente, assolutamente differente, dalla somma di tutto il dolore, di tutta la sofferenza, di tutta la morte seminata dall’invasione. 

Il comico Stephen Colbert non conosce Marianna. A migliaia di chilometri di distanza, su uno dei canali televisivi americani, dice che l’invasione è una crisi umanitaria ma anche un trionfo dell’umanità, perché gli ucraini comuni, nonostante la presunta superiorità di Putin, non sono disposti a lasciarsi schiacciare e arrendersi. Si torna a parlare di onore, di risveglio di un Occidente intorpidito dai sonniferi del consumismo e del benessere. 

Senza dubbio sembra che la guerra abbia improvvisamente reso la vita più densa. Non è più così facile rimanere comodamente fermi in un cinismo che rende tutto uguale, che attende che arrivi la “fatica della solidarietà”, la stanchezza dell’accoglienza e il raffreddamento della compassione. Ma nemmeno il fulmine della resistenza ucraina serve a dissolvere l’oscurità cinica per la quale tutto è liquido e una menzogna, per la quale non c’è verità per cui sacrificarsi. La luce è nella sala parto di Mariupol. La vita diventa davvero solida quando guardi in faccia le vittime. 

Alla stazione di Przemyśl in Polonia, dove continuano a passare migliaia di rifugiati, c’è un’altra Marianna. È più grande della Marianna di Mariupol, ha due figli, un maschio e una femmina. Giocano spensierati. Come se non avessero sentito i bombardamenti, come se non avessero superato mille disagi per attraversare il confine. La figlia di questa Marianna cerca di confortare la mdare. Ha lasciato il marito in Ucraina e vive con il cuore appesantito chiedendosi se sia ancora vivo. L’intera Ucraina è diventata un grande binario in cui donne e uomini, madri e bambini si dicono addio. Ogni ultimo bacio, ogni mano di padre che saluta per dare l’ultimo saluto, ogni ultimo sguardo e ogni ultima carezza formano un grido silenzioso, un grido al cielo che implora un rapido ritrovarsi. È irrazionale negare la possibilità di un tale rincontro. L’intensità con cui si desidera è la migliore prova che si verificherà. Sicuramente sarà inaspettato, diverso da come lo si era immaginato, in un altro tempo e in un altro spazio, o semplicemente quando il tempo e lo spazio si saranno condensati in un istante definitivamente solido. 

La Marianna di Przemyśl racconta la sua storia mentre timide lacrime si fanno spazio sui suoi occhi verdi. Ed è irrazionale pensare che l’ingiustizia che Marianna e la sua famiglia hanno subito non possa essere riparata. Le sue lacrime sono anche l’anticipo di un istante definitivamente solido. In realtà quel momento è già accaduto e continua ad accadere. Il dolore di Marianna e di tutte le donne ucraine trafigge il cuore del mondo. E c’è uno sguardo che dice loro: Marianna non piangere! Lo dice con forza e fermezza, con una certezza di cui ci si può fidare. Marianna non piangere, sei fatta per la vita e non per la morte! 

Il grido di Marianna e di tutte le donne ucraine supera il nostro cinismo perché ci invita, quasi ci costringe, a volgerci a quel solido Istante in cui uno sguardo continua a dire: sei fatto per la vita, non per la morte!

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