Gli eurobond sono stati rilanciati con forza dal Presidente francese Emmanuel Macron – tacitamente appoggiato dal Premier italiano Mario Draghi – per finanziare la strategia di rafforzamento della difesa Ue, improcrastinabile dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Com’era prevedibile – all’interno e in margine all’ultimo Consiglio Ue – sono giunti segnali di perplessità da parte della Germania e dai Paesi del Nord Europa: ma meno netti dell’usuale. Analogamente – ancora prima della crisi di Kiev – il no tedesco all’ipotesi di “nucleare verde” si era trasformato in astensione.
Riaprire il dossier nucleare (peraltro mai chiuso in un Paese come la Francia) diventa un atto politico che trascende le motivazioni tecnico-scientifiche o economiche quando lo stesso nucleare viene a essere una minaccia militare contro l’Europa. E riproporre – questa volta “per davvero” – l’emissione di titoli di debito pubblico da parte dell’Unione con la garanzia in solido di una pluralità di Paesi dell’Unione (tutti o almeno una parte) è un’iniziativa politica pura contro cui l’area “frugale/virtuosa” non sembra poter facilmente opporre gli abituali argomenti “tabù”.
L’improvviso rialzarsi di un muro di ostilità fra Europa e Russia (e in parte Cina) mette in gioco l’integrità stessa dell’Unione, realizzata con l’euro negli stessi mesi in cui Vladimir Putin diventava leader della democratura russa. Le minacce portate dalla crisi geopolitica sono già in atto: l’inflazione da energia (a colpire l’intera economia europea, le imprese e le famiglie) promette di essere accentuata da ricadute recessive, legate anche alla spirale di sanzioni decise dall’Occidente contro la Russia. E tutto questo avviene quando all’uscita faticosa di due anni di pandemia l’Ue sta sviluppando un impegnativo piano di resilienza e rilancio basato su forme di indebitamento comune.
Già nel 2020 – all’epoca del varo del Recovery Fund – l’emissione di eurobond era stata messa sul tavolo di Bruxelles: dalla Francia appoggiata da Italia e Spagna e da altri Paesi del Sud e dell’Est europeo. Il piano di contrasto keynesiano alla crisi-Covid su scala europea era stato ispirato da Draghi, da poco “past president” della Bce, ed era stato infine sostenuto dal Cancelliere tedesco Angela Merkel. Che pose tuttavia la condizione di non finanziare il piano con veri e propri “buoni europei”, collocati come tali sul mercato.
Macron – che aveva perfino ventilato la costruzione di eurobond da parte di un pool di Paesi Ue (anche senza la Germania) – non insistette. Lo fa invece ora, quando la sua rielezione all’Eliseo – fra due fine settimana – è quasi scontata, proiettandolo verso la leadership europea. A Berlino nel frattempo, l’esordio di Olaf Scholz alla cancelleria dopo 16 anni di Governo Merkel non poteva essere più faticoso: sia per l’impasse energetica (in Germania anche più pesante che in Italia), sia per l’annuncio quasi obbligato di un maxi-piano di spese militari. Ma la costruzione di un energy “compact” e quindi di un “unione militare” è esattamente la doppia sfida che si profila: a integrare quella della transizione ecologica e digitale posta dal NextGenerationEu in versione Recovery.
La “transizione finanziaria” è in agenda dalla firma dei Trattati di Maastricht: e non è stata certo realizzata dal “Fiscal compact”. Era in nuce alla vigilia del Covid, con un cantiere biennale di riforma della governance economico-finanziaria dell’Ue, mai aperto e brutalmente superato dall’emergenza-Covid. Ora un’emergenza di magnitudine inequivocabilmente superiore sembra segnare l’ora degli eurobond: che solidifichino istituzioni e politiche di reale governo finanziario europeo.
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