Non sembra fuori luogo richiamare nuovamente il modello concertativo fra le forze economiche e sociali di un singolo Paese quando una guerra sta producendo il massimo effetto “disruptivo” sull’ordine internazionale poco lontano dall’Italia, ai confini dell’Europa. La concertazione è anzitutto la risorsa risolutiva cui il sistema-Italia è ricorso con successo in almeno due passaggi cruciali della sua storia recente di democrazia di mercato.
Il primo è maturato nell’immediato dopoguerra, quando il Paese – sconfitto e distrutto – andava ricostruito. Fu certamente decisiva la collocazione nel nuovo scacchiere geopolitico: in cui l’Italia si ritrovò, ma nondimeno sancì con passi propri. La forma repubblicana e costituzionale fu una scelta di sovranità democratica, attraverso il primo voto a suffragio universale nella storia. del Paese. Seguirono l’adesione alla Nato e all’Onu e – soprattutto – la promozione attiva della Comunità europea, nel ruolo di Paese fondatore. La Ricostruzione e il Boom furono il frutto di una forte capacità subito mostrata da forze socioeconomiche e corpi intermedi di “concertare” tutte le energie del sistema-Paese anche all’interno di una forte dialettica politica interna, in parte imposta dall’esterno da blocchi, muri, guerre fredde (esemplare il ruolo della Cgil di Giuseppe di Vittorio). È in quegli stessi anni che l’Italia – su impulso di un leader della statura di Alcide De Gasperi – impara in fretta anche a “concertarsi” nel Vecchio Continente assieme a Paesi usciti in fondo tutti battuti da due guerre mondiali, anzitutto Francia e Germania. È in quella Italia “concertativa” che prende forma – da zero – una realtà come l’Eni di Enrico Mattei: pionieristica nell’affrontare la questione energetica sul terreno geopolitico.
La concertazione viene tuttavia “brevettata” come modello di governo del Paese – a un tempo istituzionale e sussidiario – nei primi anni ’90. Ne è principale promotore Carlo Azeglio Ciampi, protagonista dell’entrata immediata dell’Italia nell’Unione monetaria: come banchiere centrale e Premier a cavallo del Trattato di Maastricht (e di una seria crisi finanziaria-valutaria); come ministro del Tesoro e presidente della Repubblica quando il Paese aggancia l’euro dal primo giorno. Ma la concertazione è per definizione l’opposto della scelta di un uomo solo: trascende, anzi, i confini delle istituzioni politiche; è realizzabile solo se una strategia Paese è realmente condivisa nelle sue sfide dal tessuto socioeconomico, anzitutto da imprese e organizzazioni sindacali (ma non solo: in quegli anni matura anche la riforma del Titolo V della Costituzione, ispirata alla sussidiarietà verticale e orizzontale). E anche negli anni ’90 del secolo scorso, la capacità concertativa interna s’intreccia fra Italia ed europea.
In altri frangenti la concertazione – nel Paese e nell’Ue – è stata meno centrale o è rimasta fuori dal dibattito e dai processi decisionali. Lo shock energetico degli anni ’70 produsse in Italia gravi danni all’economia (iperinflazione) e alla società (terrorismo). Quella crisi non venne superata da alcun Governo “concertato” ma direttamente da una vitalità “sommersa”. Non fu la “scala mobile” (frutto di una concertazione passiva e difensiva) a proteggere i redditi di molti italiani: lo fece molto di più la sperimentazione di capacità imprenditoriali individuali. Non fu di aiuto – a quell’epoca – neppure l’Europa: che forse non avrebbe accelerato se non fosse arrivato lo scrollone della caduta del Muro di Berlino.
Nemmeno lo tsunami finanziario del 2008 vide il riattivarsi di forme di “concertazione”, in Italia e in Europa (salvo il lavoro di Mario Draghi alla Bce). E sulla “concertazione” Nato contro la Libia di Gheddafi sono orami prevalenti i giudizi problematici: l’Italia certamente la subì, con incrinature delle istituzioni politiche tuttora non sanate. Dalla destabilizzazione libica, fra l’altro, è nata a spirala la crisi dei flussi migratori: che l’Ue – prima ancora che l’Italia – non ha saputo affrontare con strumenti concertatori neppure minimi.
Ora una ritrovata condivisione di Europa e Stati Uniti sembra premessa di una nuova stagione concertatoria a livello transatlantico: quando in Italia il Governo Draghi – che resta ancorato a una maggioranza di larghe intese – è un contenitore oggettivo (anche se talora faticoso) di scelte concertate. La guerra in Ucraina ha certamente la magnitudine per risvegliare la fiducia nella concertazione e nelle sue logiche sperimentate.
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