Il senso di colpa è un buon strumento nelle mani del potere. Perché ogni uomo mentalmente sano ha qualcosa nella sua coscienza che lo accusa. Affinché un uomo sia veramente libero, libero fino al midollo, ha bisogno di essere stato perdonato. Solo un uomo che viene abbracciato con grande forza, con molta tenerezza, può avere la libertà di non farsi ricattare da ciò che pesa sulla sua coscienza. Un uomo libero non esita, ma è molto difficile da trovare. Il potere sa usare con grande intelligenza il senso di colpa, che involontariamente ci accompagna giorno e notte. Il potere sa usare a suo vantaggio quell’irrequietezza, quell’accusa che facciamo a noi stessi prima di addormentarci.
Siamo moderni sì, ma siamo uomini, e non possiamo evitare la sensazione e il pensiero di avere un debito, un conto non saldato. È necessario essere stati ed essere guardati con una preferenza infinita in modo da convincerci una volta per tutte che il nostro debito è stato pagato, che nessuno ci accusa. Ma questa libertà è rara da trovare. Il senso di colpa è usato dal potere per far dubitare di ciò di cui si è più sicuri.
Basta pensare all’invasione dell’Ucraina. A tutti è chiaro che nulla giustifica il massacro di innocenti, la barbarie delle bombe, la devastazione che attraversa quel Paese da più di un mese. Ma alcuni evidenziano che l’Europa e gli Stati Uniti sono stati disattenti, che hanno persino disprezzato l’anima russa, la sua sensibilità. Ricordano che è stato un errore ampliare la Nato, svegliare l’orso, sottovalutare Mosca. Chiaramente ci sono stati molti errori culturali, geostrategici, personali. Ma non è giusto compiere un “trasferimento di colpa”. Il boia è il boia e la vittima è la vittima. Molti errori possono essere stati commessi, ma la tirannia è tirannia e la democrazia è democrazia.
Ovunque accade quello di cui sto parlando. Sayyid Qutb non sarebbe mai stato uno degli ispiratori dell’islamismo moderno se non fosse stato torturato in prigione e non avesse risvegliato in molti musulmani la necessità di farsi perdonare per la loro infedeltà al profeta e al libro. La sua forza e quella di coloro che gli sono succeduti è stata nel risvegliare nei credenti la sensazione di essere sporcati dalla spazzatura dell’Occidente.
Mao era il grande esperto. Le sue purghe avevano obiettivi molto chiari. Bisognava trovare un certo numero di “destristi”. Non importava se lo fossero davvero o meno. I detenuti, in quanto tali, erano già colpevoli. Ma senza che fossero accusati di alcun crimine. Questa era la cosa più interessante del sistema maoista, quella veramente raffinata. Sotto pressione e tortura il detenuto era colui che doveva rivedere nel suo passato, nei suoi hobby, nel suo gusto per un certo tipo di musica, nella sua passione per gli spazi aperti, qual era il “grande errore” che aveva compiuto. C’era sempre tempo, prima che il povero “di destra” fosse trasferito al laogai (il campo di concentramento), per rivedere la propria vita e trovare comportamenti, pensieri, inclinazioni borghesi e reazionarie.
C’è sempre qualcosa, in una coscienza rivoluzionaria o in una reazionaria, specialmente se ci si trova soli, che accusa per quello che è stato fatto, per quello che è stato smesso di fare, per quello che si è sentito. Il “destrorso” alla fine scopriva qual era il suo peccato e si autoaccusava. L’utilità del sistema non consisteva nel fatto che il detenuto confessasse le sue cattive pratiche, ma che arrivasse a dubitare della propria identità e del proprio valore. Anche il successo del sistema creato da Sayyid Qutb è stato quello di trasformare il peccato nella negazione dell’identità. Il musulmano occidentalizzato divenne kafir (infedele).
Come ho detto, occorre essere veramente liberi di riconoscere che si è sbagliato molte volte e che il potere, usando la colpa, non farà dubitare di se stessi. Non è facile, ripeto. Quella libertà non si impara nei libri, né si conquista una volta per sempre. Questa libertà è solo di coloro che vengono abbracciati.
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