Lui le cose le conosce, è inutile nasconderlo: Satàn, in fatto d’intelligenza, batte tutti (eccetto Dio) a tavolino. Cristoddìo, però, è stato ammaestrato ancora prima che il demonio esistesse: “Non discutere mai con gente idiota, figliommio – gli avrà pur detto sua Madre o suo Padre (qualsiasi dei due) –: ti trascinano al loro livello e poi, per una somma di esperienze, ti batteranno!”. Satàn dimentica spesso che l’amore non si discute: si dimostra. Lui, invece, si mette a discutere più per capriccio che per necessità. E quando si ritrova faccia a faccia con Dio, il demonio mette i puntini sulle i, Cristo fa analisi logica: il primo si diverte a fare le autopsie dei dettagli, il secondo ha la passione di (col)legare tra sé il mondo intero. Il risultato finale di ogni loro discussione è sempre lo stesso: il demonio e i suoi seguaci amano discutere di religioni che loro non hanno mai praticato.
Tenta, dunque, Satàn: le sue truffe sono come i tentacoli di un polipo, ha il vizio dell’inganno, ha sempre una tentazione in agguato. Cristoddìo, con questo farabutto, non fa le orecchie da mercante: siccome sa d’esser venuto al mondo per portare la pace, allora entra in guerra per fare la guerra alla guerra. Entra a sfidar il principe della guerra: non lo evita, si propone lui – “guidato dallo Spirito nel deserto” –, si fa sotto per dirgli, con il linguaggio dei bambini, “prenditela con quelli della tua età!”.
Lui sa che, passata questa vita barbara che si concluderà in Croce, diventerà un generale d’armata: per mostrarsi domani credibile, oggi accetta d’esser un soldato semplice. Uno di quelli che va al fronte a combattere, che soggiorna nelle trincee, soltanto il proprio petto a fargli da scudo umano. E nel deserto, per la gioia di Satàn, si lascia tentare: non è il porcello a insidiare il Santo, è il Santo che permette al porcello di stuzzicarlo.
Per questo, un giorno, non insegnerà a chiedere al Padre “non presentarci mai delle tentazioni” – il che sarebbe un abuso improprio della libertà umana – bensì “non abbandonarci alla tentazione”. La tentazione Cristoddìo la permette: è lei a farci sentire umani, alla faccia del desiderio di essere infrangibili. La autorizza ma, per chi lo vorrà, la tentazione sarà come neve al sole: sparirà alla sola richiesta d’aiuto a Iddio.
Va in guerra, dunque: a fare la dimostrazione pubblica di come si faccia a mettere Satàn nel sacco. Per mostrare come ragioni il demonio e i suoi chierici: a loro non importa conoscere come stanno le cose, interessa ritornare a casa confermati nei loro pregiudizi. Cristo, invece, sogna di confermarsi nella fede e far in modo fede e verità coincidano. Non difetta di coraggio il bimbo cresciuto a Nazareth: accetta di strofinare e lucidare il suo cervello contro quello di Satàn. Che, arlecchino nauseabondo, si nasconde tra i cespugli delle frasi imparate a memoria, scagliando frecciatine velenose vestite di apprezzamento. Lui discute, Cristo lo sta ad ascoltare: “Chi è capace non discute – scriveva Lao Tzu –, chi discute non è capace”. Neanche si impegna a discutere con Satàn, perché non ci si può permetter il lusso di discutere con chi ha la voglia di discutere tanto per discutere e basta. Con Satàn Cristoddìo è un signore gagliardo, preparato: gli cita la Scrittura Sacra e, prima d’andarlo a sfidare di petto, controlla bene di essere “pieno di Spirito Santo” (cfr Lc 4,1-13). Solamente l’imbecille può pensare di vincere Satàn a colpi di discussioni. O con la preghiera, o con la Scrittura: non c’è una terza via.
Dal deserto il demonio esce con le ossa fracassate ma con un aumento di boria: “Non ci sono riuscito con Lui, ci proverò con i suoi”. Puntuale, ogni giorno, riprova: “Cerco cuori d’affittare. Pago cash: con pane, potere, successo”. Quella contro Satàn resterà la più lunga e pericolosa partita a scacchi contro la morte. Se anche Cristo, ch’era esentato dal ticket, l’ha combattuta, allora varrà la pena combatterla: c’è da sgomitare contro le tentazioni (non sognarne lo scanso) per credere in Dio. Che, dati alla mano, resta l’alleanza più forte contro Satàn.
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