Presi dai consumi, dall’affermazione del nostro individuale benessere come unica vera necessità della vita, abbiamo costruito attorno a noi delle alte mura di indifferenza e dentro questo cortili affollati litighiamo tra noi per avere di più.
Quelle mura che si credevano imprendibili, crollano fragili quando attaccate. Non solo la guerra di Putin che da anni denigra l’Occidente molle, ma soprattutto il fastidio per lo schierasi da parte di troppi che invocano pace e realismo quando invece vogliono solo quiete. L’Ucraina è così lontana eppure così vicina, tanto da averci obbligato a fare i conti con i nostri fantasmi. Chi ha sempre sbeffeggiato i profughi della guerra li riconosce ora nelle facce meno esotiche dei bambini di Kiev, chi ha usato la narrazione della forza e dello sparare a vista contro chi sembra un ladro, fa i conti con la violenza vera usata per un sospetto. Chi ha visto nella rivoluzione energetica l’unico obiettivo, oggi deve fare i conti con ciò che serve ad andare avanti domani e non tra dieci anni.
E ogni posizione autoreferenziale, costruita sulla superficiale analisi del metro quadro del propio spicchio di cortile, sulle proprie frustrazioni innalzate a pretesa di diritti, viene spazzata via dal terrore dell’aggressione.
Il terrore è un veleno che spesso viene usato contro le democrazie. Funziona bene nella testa di chi lo usa. L’Italia è stata la terra che ha sperimentato da sempre questo veleno nella sua breve storia democratica. Dagli anni di piombo alle stragi mafiose, con il terrore si è cercato di abbatte i valori democratici e sempre in quei momenti si è discusso tra fermezza e realismo per avere quiete.
Ora che il terrore viene da fuori, la scelta non può che essere quella che ci ha consentito di progredire come Paese e di difendere la democrazia resistendo, senza indietreggiare e con saggezza. Senza concedere nulla a chi il terrore lo pratica come sistematica minaccia.
Come dovremmo reagire contro un mafioso che terrorizza le imprese con le bombe. A cui non possiamo pagare il pizzo a vita per stare quieti. Perché c’è una forte analogia nei comportamenti di Putin con le logiche criminali delle mafie. Imporre la propria cultura con la forza, impossessarsi con le armi di un territorio, rifiutare la democrazia e la forza pacificatrice dell’ordine costituito nelle zone sotto il proprio dominio che devono piegarsi, invece, ai desideri del boss. E anche i mafiosi hanno disprezzo per i deboli che non fanno la loro vita, anche loro si sentono di proteggere i propri accoliti, anche loro hanno affiliati ricchi e riciclatori al loro servizio, anche loro vivono nel lusso di bunker da cui ordinano omicidi, anche loro ostentano forza fisica e tengono ostaggio quartieri, città o Stati.
Conosciamo bene nel Mezzogiorno questi comportamenti, sappiamo quanto la violenza sia efficace per tenere il potere ed abbiamo visto nei decenni boss arricchirsi con le armi e ripulirsi con attività legali. Sappiamo che la tentazione è la quiete, lasciare che tutto vada come deve e non opporsi. La quiete crea consenso perché la si confonde con la pace e, da lontano, le somiglia. Ma è una vita sotto oppressione, senza la dignità piena della cittadinanza. È una quiete che svuota le città ed i territori e crea depressione economica, umiliando chi la vive. Perché senza libertà e sicurezza nessuno può davvero prosperare. E tanti possono solo sopravvivere. È questo che la mafia ha sempre voluto. Esercitare il potere assoluto affermando i propri valori in cambio della quiete.
Putin ci mette dì fronte, su una scala più ampia, ciò che come Paese conosciamo già da molti anni. Mentre la guerra iniziava uno dei più grandi comuni della Campania, Castellammare, veniva sciolto per infiltrazioni mafiose. Minacce, irregolarità, affiliati di clan eletti e messi a gestire la cosa pubblica. Tutto per la quiete dei concittadini. Una quiete che lo Stato non ha accettato e contro cui le istituzioni democratiche hanno reagito. Perché la democrazia è fragile e permeabile, è spesso usata da chi non la ama ma resta la più potente delle armi per consentire agli uomini di essere liberi e poter esprimere se stessi.
Per questo la democrazia va difesa ovunque. Non solo a casa propria o nelle vicinanze, ma ovunque sia in pericolo. Una volta persa, la democrazia viaggia smarrita nella storia anche per secoli prima di trovare la via. E dobbiamo difenderla con forza, nel nostro Paese, nel Mezzogiorno, in Europa e ovunque essa sorga. Perché aiutare chi la difende in ogni modo è l’unica strada per essere anche noi più forti e consapevoli e trasformare le nostre oasi affollate, che immaginavamo circondate da mura inespugnabili, in luoghi davvero aperti e sicuri.
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