Nel grande gioco della vita alla fine vince chi non perde il cuore: “Il segreto è sempre quello – sembra dire la Madonnasantissima a Giuseppe di Arimatea –: tu non correre mai dietro alle farfalle. Cura il giardino perché vengano da te”. Si è appena accorto che l’Amico, il Dio pesomorto, se n’è andato senza nemmeno fare la colazione: come chi, da un alloggio, scappa via ancor prima che sorga la luce, prima ancor che il latte si scaldi sui fornelli, che l’oste prepari la colazione, che i primi “Cornetto (alla marmellata) e brioche. Grazie!” s’innalzino nella sala.

Ha fatto esattamente come gli aveva detto l’amico di Arimatea: ha fatto come se quel sepolcro fosse casa sua. Non si era mai sentito così a casa con gli uomini come dentro il sepolcro: è il punto più basso che raggiunge l’uomo di quaggiù, il destino ultimo condiviso fino all’osso. La Croce, al confronto, fu il punto più alto toccato da Dio come uomo; il sepolcro quello più in basso di tutta la sua storia. Che nessuno, un giorno, possa dire che ha saltato delle tappe nel suo farsi uomo veramente.

Volevano, forse, risparmiargliela la fossa: fu Giuseppe ad andare da Pilato a dirgli che il corpo dell’amico, per pudore, non lo voleva vedere appeso a lungo. Fosse stato per loro, forse, bastava. Meglio: appeso al palo la vendetta sarebbe parsa più infame. Fu il pudore di Giuseppe, ancora un Giuseppe, che lo avvolse di castità, di compostezza. Finì così la storia terrena dell’uomo più terreno e meno terrestre dell’intera storia dell’umanità. Finì dentro una tomba.

Iniziò così la vera storia dell’Uomo che, dopo aver pagato tutto il suo conto con la giustizia degli uomini, appena finito di scontare la pena della morte disse: “Ne è valsa la pena!” di essere leale fino alla fine, di accettare il sottosuolo della tomba, di non cercare nessuna scorciatoia: di rimanere il segno più evidente di quanto è bastardo l’uomo quando decide di lasciarsi imbastardire il cuore. Fece tutto quello che il Male gli impose di fare: perché il Male, forse, s’immaginava di poterlo ricattare sentendosi chiedere qualche favore. Nessuno: Cristoddio fu un Uomo con gli attributi fino alla fine. “Tutto come gli altri, nessun sconto. Grazie!” Già questo infastidì quelle bestie d’anime scartavetrate da Satana.

Poi, però, fu Lui a prendere in mano la storia. Si svegliò nel sepolcro, si alzò dal letto, lasciò tutto come aveva trovato qualche sera prima. Uscì fuori senza che nessuno se ne accorgesse, manco i soldati messi lì a fare la ronda. Facendo a cazzotti con la morte, di notte ammise a Sé stesso che non ci sarà mai nulla di più attraente che mettere ordine nel caos. Risuscitò! È tutto qui il seguito della storia, l’incipit della storia cristiana. Questo “Non è qui, è risorto!” (cfr Lc 24,1-12) è l’attestato di dottorato che annulla, inglobandole in sé, tutte le altre pergamene delle tappe sostenute: elementari, medie, superiori, laurea. Tutto è lì, nascosto lì. E tutto ciò ch’è nascosto è stato indispensabile per arrivare a quel punto. Era innocente.

Per davvero, però. Non per scongiuro, come dicono i condannati nelle patrie galere del mondo: “Io sono innocente!”. Lui, a differenza, non lo disse: lo mostrò, con il conto della morte in mano. L’aveva capito Claudia, la moglie di Pilato: era pagana, ma aveva capito tutto, tanto da dire al marito: “Non avere a che fare con quel giusto!” (Mt 27,19). Pilato, però, era un guerraffondaio al servizio della viltà: “Sono paturnie da donne!”, e la liquidò. Ci rimase giusto il tempo di suonar l’allarme, poi, come un apostrofo dentro una frase, tornò a scomparire tra tutta la folla del Venerdì. La domenica, a pranzo, chissà se Pilato le avrà posto le scuse sue. Più probabile di no, se già si stava tentando di manipolare la realtà: “Dite che i suoi discepoli sono venuti di notte, l’hanno rubato, mentre noi dormivamo” (Mt 28,13).

Ma Lui si era già nascosto nella voce delle donne alle quali era appena apparso, già consacrate garanti della Risurrezione: “Annunciate ai miei fratelli che vadano in Galilea: mi vedranno” (28,10). Pasqua è il funerale delle dicerie: il pettegolezzo muore quando incontra gli orecchi di una persona intelligente.

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