Katerina ha 16 anni. È ancora ricoverata in ospedale. È una delle vittime dell’attentato alla stazione di Kramatorsk, che l’ha lasciata orfana e mutilata. Le ferite richiederanno tempo per guarire. Maria (nome fittizio) ha 15 anni e anche lei sta cercando di chiudere delle ferite. Il parallelo è in qualche modo inverosimile, perché Maria vive in Spagna, un Paese in pace. Mai nella sua vita, fortunatamente, ha visto un bombardamento. E non ha perso nessun membro della famiglia. Ma conosce la sofferenza. Subisce un altro tipo di devastazione. Il suo ragazzo le è stato infedele con tre compagne di classe. Una di loro è rimasta incinta e ora lui ha chiesto a Maria di aiutarlo. Maria si lamenta del fatto che al liceo le è stato insegnato a usare il preservativo, ma è stata lasciata sola nella vita. 

Quando Katerina si riprenderà e inizierà a chiedersi perché porterà sul suo corpo e nella sua anima per tutta la vita le ferite di un bombardamento, sarà ingiusto risponderle che è nata in un’epoca buia. Sarà ingiusto spiegarle che fino a poco tempo fa l’Europa era un continente in pace, che c’è stata un’età dell’oro. Sarebbe ingiusto dirle che, dopo due guerre mondiali, la globalizzazione commerciale, con lo scambio di merci, ha posto fine ai conflitti. E che l’è toccato il momento non buono della storia e il posto sbagliato della geografia. Tale risposta sarebbe ingiusta in quanto falsa e insufficiente. 

La faticosa costruzione di un’Unione europea, che si sta avvicinando molto lentamente all’ideale federale, è stata un passo avanti. Ma non è vero che lo sviluppo dell’Unione ha portato alla fine della storia. Né che quella fine della storia ha coinciso con la globalizzazione. Non c’è stata un’età dell’oro. Parlarne a chi è gravemente ferito è un modo crudele per sopprimere ogni possibile speranza. Senza qualcosa di positivo nel presente, il futuro è cancellato. 

Non c’è stato un tempo in cui saremmo tornati alle porte del Paradiso. Mentre i nonni di Katerina lottavano alla fine degli anni ’50 per mantenere la loro famiglia fu firmato il Trattato di Roma e fu lanciato il grande progetto di costruire un’Europa Unita. Mentre ciò accadeva, dall’altra parte della Cortina di ferro, quei nonni hanno vissuto l’invasione dell’Ungheria (1957) e poi della Cecoslovacchia (1968). Non ci sono stati bombardamenti di massa allora, ma ci sono stati morti e repressione delle libertà. La “destalinizzazione” teorica dell’Urss con Breznev e Krusciov non implicava il rispetto dei diritti umani. Si applicava il principio della sovranità limitata (sottomissione a Mosca) ad alcuni dei Paesi che ora sono membri dell’Ue. E poi non c’era, come c’è stata ora, una solidarietà determinata, diffusa e di base con coloro che lottano per la loro libertà. Allora non c’era movimento come quello che ora sostiene la resistenza di un Paese invaso. Non si sentiva come proprio, nonostante non si sia ucraini, il desiderio di giustizia di Katerina. Un’invasione di carri armati sovietici era il prezzo da pagare per “l’equilibro delle forze”. 

Quando i genitori di Katrina passarono dall’infanzia all’adolescenza (1966-1976), Mao con la sua rivoluzione culturale causò decine di milioni di morti. E poi gli europei, soprattutto gli intellettuali, hanno usato il “Libro rosso” del genocida come catechismo sociale. 

Né c’è mai stata un’età dell’oro in cui se Maria fosse vissuta non avrebbe sofferto la solitudine. Non importa quanto ci tuffiamo indietro del tempo, non troveremo un grande bosco nel quale Maria sarebbe potuta crescere con un solido ideale unitario, dove l’abbandono era impensabile perché c’era un popolo e una religiosità consolidata o un ideale etico stabilito che teneva compagnia. Le radici profonde della civiltà occidentale che hanno sostenuto quella foresta, per quanto si scavi, non sono state trovate. Il boschetto sotto il quale Maria avrebbe potuto altrimenti crescere è fuori dalla storia. C’erano, qua e là, alcuni lecci, sempre scarsi, sempre in procinto di prosciugarsi o di essere abbattuti, sempre in lotta. 

Coloro che insistono nel vedere gli anni di Katerina e Maria solamente come tempo di devastazione e rovina senza precedenti hanno bisogno del mito dell’età dell’oro. Non c’è dubbio che questi sono tempi difficili. Crescere mutilati è una cosa brutta, indesiderabile. Ma crescere, inoltre, senza speranza rende la vita insopportabile. Ed è esattamente quello che facciamo noi adulti quando parliamo solo del male del tempo presente e di un’epoca che non è mai esistita. Questo è il tempo di Katerina e Maria. E Katerina e Maria cantano canzoni come quelle di Alexander 23, canzoni che sono state raccolte dagli studenti universitari dell’Associazione Atlantis in una mostra che si è tenuta a Madrid. 

Il testo di una di quelle canzoni inizia così: “Come ti può mancare qualcuno che non hai mai incontrato? Ho bisogno di te ora, ma non ti conosco ancora. Dimmi: i tuoi occhi sono marroni, azzurri o verdi?” Katerina e Maria sentono la mancanza di qualcuno che ancora non conoscono. Il loro bisogno di speranza è urgente.

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