C’è ancora bisogno di ragionare di sanità? Dopo due anni che non parliamo (scriviamo, leggiamo, vediamo, discutiamo) altro che di Covid e di tutto quello che gli gira attorno una risposta affermativa, sfidante e non scontata, è fornita dal Dipartimento Salute della Fondazione per la Sussidiarietà attraverso un agile volume che raccoglie, con appena un minimo di organizzazione tematica, gli editoriali in tema di salute, sanità e assistenza pubblicati nel 2020 e 2021 dal Sussidiario.
Perché vale la pena di mettere ancora la sanità al centro dei nostri pensieri e delle nostre riflessioni? Proviamo ad elencare, in sintesi, alcune delle ragioni principali che hanno convinto la Fondazione ad affrontare questo compito.
La sfida che ci sta ponendo la pandemia non va sprecata e abbiamo necessità di rispondere innanzitutto alle tante urgenze e sfide che il periodo ci ha imposto. Credevamo di avere definitivamente vinto la battaglia sulle malattie infettive (e abbiamo quindi, correttamente, spostato le risorse nazionali verso problemi cronici come il cancro e le malattie del cuore): dobbiamo ammettere che quella previsione sulle malattie trasmissibili era sbagliata. Quello che è successo in questi primi vent’anni di nuovo secolo ci porta a dire che, con forme organizzative tutte nuovamente da studiare, il prossimo futuro dovrà prevedere una sanità capace di affrontare sia la cronicità che le malattie infettive.
Dimensione delle terapie intensive (numero di letti), professionalità necessarie, attrezzature di supporto alle attività, percorsi di accesso alle strutture di ricovero (in particolare per i Pronto soccorso), fronteggiare contemporaneamente una domanda di cronicità e una domanda di urgenza: queste alcune delle problematiche nuove che richiedono alla struttura sanitaria ospedaliera (in particolare) di lasciarsi investire dalle esigenze di una flessibilità organizzativa mai sperimentata in precedenza e che permetta il rapido spostamento di risorse (di tutti i tipi: letti, personale, strumenti…) da un bisogno a un altro.
Non di meno sono emerse le magagne dell’assistenza territoriale, di quel tipo di assistenza che rappresenta il punto di primo contatto tra il servizio sanitario e il paziente e che permette l’iniziale governo delle patologie, siano esse croniche o infettive: i problemi non riguardano solo l’assenza di un modello condiviso di cura, ma anche la mancanza di reti di prossimità, le difficoltà che caratterizzano l’integrazione e la collaborazione tra sanità e assistenza, i tanti pensionamenti già avvenuti o in previsione a breve (esempio: Mmg) senza che vi sia la necessaria integrazione del personale, la necessità di nuove figure professionali dedicate proprio al governo dell’assistenza territoriale, le opportunità fino ad oggi poco sfruttate dai professionisti di operare come gruppo, aumentando l’interscambio tra professionalità appartenenti a differenti punti della rete, lo scarso utilizzo della telemedicina e delle nuove tecnologie rese disponibili dal mondo dell’informazione e della digitalizzazione, e via di questo passo.
Arriverà attraverso il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) una soluzione adeguata? Sapremo prenderci cura sia di malattie infettive e trasmissibili, acute, che di malattie croniche, senza che ogni volta uno dei piatti della bilancia prevalga sull’altro (con le prevedibili conseguenze di ritardi, rinuncia alle cure, insorgenze di nuovi gravami soprattutto sui soggetti di volta in volta più fragili)? Certo, le crepe sono tante, ma sappiamo che è dalle crepe che entra la luce (“Anthem”, Leonard Cohen). Come?
Qui si apre il dibattito in cui si inserisce il volume della Fondazione, dibattito che (a titolo di esempio) dovrà affrontare domande sul futuro come le seguenti: ha ancora senso la separazione oggi in atto in molte regioni tra sanità e assistenza (socio-sanità)? quale ruolo dovranno giocare la medicina di base e quella territoriale? che funzione sarà richiesta agli ospedali di domani? di quale organizzazione sanitaria (luoghi, strumenti, competenze…) avremo bisogno per affrontare le prossime sfide sanitarie e assistenziali?
“La speranza è l’esperienza di un presente che rende certi di un futuro”: da qui prende le mosse il volume – che non ha l’obiettivo di offrire un’analisi sistematica del nostro servizio sanitario e non è un manuale organico di programmazione – che si presenta nella forma di un dibattito aperto, di una discussione a molte voci dove ogni autore ha messo la sua visione, le sue preoccupazioni, le sue domande, le sue aspettative, i suoi sentimenti, le sue sensibilità, le sue soluzioni, di fronte a una realtà che, interpellandoci e provocandoci senza scampo, pretende da noi delle risposte.
La sanità e l’assistenza socio-sanitaria sono materia intrinsecamente sussidiaria, perché sono vicine alla persona, creano legami di prossimità attraverso il bisogno di cura e di assistenza, richiedono la presa in carico del singolo paziente in un contesto che favorisca un’adeguata risposta alle necessità di ciascuno, tutti elementi che trovano nell’approccio sussidiario il giusto contesto per la loro migliore realizzazione: saprà la sanità imboccare la strada della sussidiarietà?
Dalla realtà si può imparare se non la si sfugge, se la si mette esplicitamente a tema, se la si affronta con le domande giuste, se ci si lascia interpellare dalle sue provocazioni, se si accetta la sfida del cambiamento che ogni istante ci propone.
Gli editoriali che sono stati raccolti posseggono proprio questa caratteristica: si presentano innanzitutto come l’accettazione della sfida che questi due anni di pandemia hanno posto all’intero Ssn, e indicano come le domande che la realtà ci pone possano essere prese sul serio. Accettare la sfida non porta automaticamente al suo superamento: in questo c’è del lavoro da fare, c’è da studiare, c’è da ragionare, c’è anche da provare.
Occorre, insomma, operare perché nelle crepe entri la luce. Per questo abbiamo ancora bisogno di parlare di sanità.
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