Non erano pronti. Avessero detto loro, non solo a Tommaso, che avevano ritrovato il cadavere del Maestro nella scarpata del Golgota, avrebbero creduto all’istante: “Ce l’immaginavamo – pare di sentirli –: d’altra parte era impossibile uscisse vivo da quella macelleria”. Alla sfiga erano prontissimi, alla gioia un po’ (tanto) di meno: succede spesso così. Fu per questo che, quando apparve loro, Cristoddìo non si scompose: Lui stesso, forse, era del tutto conscio che credere alla morte è un giochetto da bambini, credere alla risurrezione è qualcosa che appartiene agli audaci, a quelli dalla fede robusta.
Quando arrivò, dunque, non lo accolse una sala di applausi, ma fece un’indigestione di incredulità. È anche vero, va detto, che Lui non fece nulla di appariscente da accoppare di brutto la platea: semplicemente arrivò, in punta di piedi. E si sedette nel posto più buio di tutta la sala dov’erano riuniti: si sedette in braccio alla loro paura. E pronunciò una parola che parve loro più una favola che un accadimento: “Pace a voi!“.
Arrivò ferito, il Dio guaritore. E, al pari di un bambino, mostrò loro le cicatrici come fossero medaglie: nessun passaggio di bisturi, niente ritocchi, correzioni. Rimase l’uomo che avevano sempre conosciuto, soltanto con delle ferite in più: “Vergognarmi? – avrà detto al fanfaluca di Satàn mentre stava per entrare nella sala –. Vergognarmi delle ferite? Io, a differenza tua, non mi lecco le ferite, io le lucido le mie ferite”. E, appena dentro la loro incredulità, di sottobanco non avrà mancato di allungare la sua riflessione: “Ogni ferita, per chi crede, si chiuderà. Il problema, semmai, sarà di chi vorrà rimaner chiuso dentro nelle sue ferite”.
Per questo disse: “Ricevete lo Spirito. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati“. Ricevete la grazia di far combaciare le vostre cicatrici alle mie cicatrici: perché innamorarsi dopo un naufragio non sarà più questione di limare degli spigoli, ma di trovar la quadra alle ferite provocate dalle onde. Gli evangelisti, con il loro semplicissimo raccontare la faccenda, contribuirono nel mettere alla berlina Tommaso per tutti i secoli a venire: “Se non vedo (…) Se non metto (…) io non credo“. Non fu per villania che Tommaso reagì così: è che, anche lui, non era affatto pronto ad una gioia indicibile. Da soli, poi, è tutto più complicato: in compagnia, invece, anche la fatica di credere appare meno faticosa. E Dio appare una presenza tangibile.
Che il primo appuntamento col Risorto sia una condivisione di cicatrici è faccenda che mi strega il cuore, che mi ributta indietro all’infanzia, a quel tempo magico in cui le ferite, avendo avuto il giusto tempo di guarire, ci regalavano la piacevolezza di toglierci la crosticina. E di lucidare ciò che, per sempre, sarebbe rimasto di quel passaggio: la ferita aveva cambiato d’aspetto, era diventata una cicatrice. E tu la accarezzavi, la mostravi, la presentavi agli amici come fosse la tua nuova compagna di vita. Lei? Lei, complice, ci stava: lo sapeva che sarebbe finita a farsi limare da una carezza. Bastava lasciare alla ferita il tempo giusto di cicatrizzarsi. E la stessa ferita, su pelli differenti, chiede tempi differenti. Ecco gli “otto giorni dopo“, otto giorni in più di malattia, necessari a Tommaso perché la sua incredulità si dissolvesse. Mica sbuffa Cristoddìo: è tornato, ha (ri)bussato, si è (ri)dimostrato ferito. Non si comprano al chioschetto dell’oratorio le cicatrici: restano la traccia di una promessa che, da parola, ha accettato di farsi carne.
Fu difficilissimo per tutta la truppa creder che fosse davvero Lui, se è vero che otto giorni dopo “i discepoli erano ancora in casa“. Ci avessero creduto sul serio, sarebbero saltati fuori dalle finestre per troppa gioia. Invece vissero come talpe. Si nascosero, tutti, dietro il dito di Tommaso. Che, contemplato da vicino il Mistero, non andò a ficcarci il dito nella piaga. Si arrestò: “Mio Signore, mio Dio!” (cfr Gv 20,19-31). Come dire: “Diommìo, ma allora è tutto vero?”. Erano ancora convinti che fosse stata tutta una farsa. Ancora adesso, creder alla gioia, è una sfacchinata.
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