La voce da mettere a tacere

Ci hanno detto e continuano a dirci di limitare i nostri desideri, a essere uomini ordinati in modo da avere una realtà armonica e senza eccessi

Torna sempre quella voce familiare dei vecchi e nuovi intellettuali, dei vecchi e nuovi chierici, dei moralisti, dei rivoluzionari che ora sono conservatori e dei conservatori che ora sono rivoluzionari. La voce ti dice che devi cercare la “terza via”, che il tutto è la sintesi delle parti (conviene che ogni parte rinunci a qualcosa), è la voce dell’equidistanza. È la voce che a scuola ci diceva che con lo sforzo si poteva raggiungere una virtù e che, una volta raggiunta quella virtù, ci sarebbe stato ordine. Perché si trattava e si tratta di essere un uomo ordinato, senza eccessi. E quando dicevano questo, tutti gli errori, tutti i cattivi pensieri, tutte le omissioni restavano come materiale di scarto. Come se tutti quei peccati fossero inutili. Come se tutto questo non servisse che a far marcire le ferite, infettarle e generare uno scetticismo granitico. 

Ti ricordi quando dicevano che non dovevi fare questo o quello in modo che la classe non fosse divisa, in modo che la famiglia non fosse divisa? L’ordine doveva essere mantenuto. Ripeto: il tutto come somma delle parti. Naturalmente, prima ogni parte va ripulita per adattarla al tutto. Ma poi la somma non riesce mai. Poi c’è solo il potere. Poi c’è solo un tutto come niente perché è politico. 

Devi lasciare le cose nel termine giusto, dice la voce. E non è necessario diventare drammatici, ci sono sempre cose belle di cui puoi parlare, puoi sempre goderti una buona cena dove splende l’amicizia. Questo è quello che ti dice la voce. Ma poi vai a letto e ti svegli più solo di un cane. 

Per mantenere l’ordine, per non dividere la classe, per non buttarsi via occorre mettere un certo limite al desiderio, bisogna vigilarlo. Vanno consultati gli intellettuali, i moralisti, per sapere se il desiderio viene amministrato nella sua giusta misura. Loro lo sanno e conviene ubbidirgli per non sbagliare. 

Bisogna stare attenti all’arroganza che fa pensare di avere ragione, dice la voce. Moderazione. Il desiderio va bene, dice la voce, come pure i vecchi rivoluzionari che ora sono conservatori o i conservatori che ora sono rivoluzionari. Il desiderio è un dono della natura, ma deve essere temperato perché i tempi sono bui. E puoi finire per dedicarti alla poesia, al poliamore, puoi voler cambiare sesso, abbandonare il sesso per sempre, oppure puoi finire per innamorarti di qualcuno dell’altro sesso senza avere dubbi, con l’indiscutibile certezza che quella è la persona che ami. 

Stai attento, dice la voce. Bisogna sempre sottomettersi al buon giudizio di chi sa. Ti dirà chi vuoi. Ci sono persone che conoscono il mistero della vita, tu no. Non dividere la classe, non desiderare molto e non farlo senza consultare gli esperti. Pulisci la parte in modo che sia possibile creare un tutto armonico, bello, inattaccabile, dice la voce. 

Ma per quanto la voce ci parli a tutte le ore del giorno, non può impedire che uno diventi improvvisamente disordinato e non voglia saperne nulla del termine giusto. Siamo sempre sottoposti a strani agguati che rovinano e rendono impossibile l’equilibrio pianificato. Quasi senza una decisione, ascoltando le notizie delle fosse comuni di Mariupol, pensi e senti di volere giustizia, una giustizia apparentemente irraggiungibile. Quasi senza decidere, il cattivo gesto del capo ti fa sembrare sottovalutato e vuoi una qualche riparazione. Quasi senza decidere, stai trascorrendo il pomeriggio sui social network e sai che stai perdendo molto tempo e sai che il nuovo potere, il potere del capitalismo digitale, ha attirato la tua attenzione e sembra un’insoddisfazione che non c’è modo di governare. E allora la voce dell’ordine, la voce del termine giusto, è sconfitta. Perché tu, quasi senza decidere, ma decidendo, sai che non vuoi il consiglio “di chi sa”. Non vuoi che ci siano equilibri, vuoi che ci sia giustizia, vuoi che il tempo perduto torni, in altro modo, senza il respiro marcio della noia. E sei disposto a smuovere il mondo intero per trovarlo. 

Altre volte le cose sono diverse. L’agguato prende la forma di una semplice gioia: una canzone sentita nei corridoi della metropolitana, uno studente i cui occhi brillano perché vuole essere un bravo giornalista, qualcuno che dice la verità, un sorriso da un mendicante, un lavoro ben fatto. Queste imboscate sono pericolose perché sei invaso da un desiderio, una malinconia e una nostalgia che nessun giusto mezzo può mettere a tacere.

Ma c’è un’imboscata ancora più rischiosa. Quella degli occhi che ti guardano con una tenerezza che non avevi mai immaginato. Non c’è rimprovero in loro, nessuna esortazione morale. Ti guardano e tu dici: è questo, è questo, Non ci avevi pensato prima, ma ti rendi conto che era quello che stavi aspettando: quell’intelligenza, quella capacità di amare, di prendersi cura di tutto. E poi la voce tace perché, quasi senza decidere, vuoi vivere nell’eccesso, nell’eccesso di quello sguardo. Sai che quello che è successo non è “naif”, sai che non devi consultarti con nessuno, sai che in quella parte c’è tutto.

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