Come è lo stato del Paese (“Come va la vita, in Italia?“) letto attraverso la lente del benessere dei cittadini? A questa domanda cerca di rispondere da diversi anni il progetto Bes (Benessere equo e sostenibile) di Istat, un sistema di misure del progresso reale in continua evoluzione (135 indicatori suddivisi in 12 argomenti), articolate per fasce di età, per genere, per territori, per titolo di studio, con l’obiettivo di mettere in luce le aree dove si manifestano maggiormente le diseguaglianze così che si possano adeguatamente indirizzare politiche mirate di intervento.
Se ne è già parlato anche da queste colonne perché da poco è stato reso noto il rapporto del 2022 (con i dati riferiti al 2021), ma in queste note si vogliono approfondire gli aspetti legati alla sanità e ai servizi sanitari e socio-sanitari sui quali la pandemia, come vedremo, ha avuto effetti che non si limitano alle evidenze più note (decessi, ricoveri, ecc.), ma che portano alla nostra attenzione nuove aree di fragilità che appaiono destinate ad accompagnarci nei prossimi anni se non sapremo adottare degli adeguati correttivi.
Innanzitutto, come ci si poteva aspettare, dopo decenni di incrementi nella attesa di vita media in tutta Europa, nel 2020 si è osservato un consistente calo della speranza di vita alla nascita: 1,6 anni persi in Spagna, 1,2 anni persi in Italia e in Belgio, 0,8 in Svezia e 0,7 in Francia. Il 2021 segnala un accenno di ripresa con l’attesa di vita che si attesta complessivamente a 82,4 anni (80,1 per gli uomini e 84,8 per le donne). Non va invece così male per la mortalità totale, che nel 2020 appare più elevata che nel resto del continente ma solo perché siamo molto più anziani di altre nazioni: se si elimina l’effetto dell’età (calcolando un tasso standardizzato), l’Italia risulta tra gli ultimi posti della graduatoria europea della mortalità (e questo particolarmente nella popolazione più giovane, 0-64 anni, anche se la pandemia ci ha fatto perdere parecchio del vantaggio che avevamo).
In linea con il trend degli ultimi anni, segna un ulteriore miglioramento nella popolazione adulta l’indicatore che monitora la sedentarietà (che rimane più alta nelle donne rispetto agli uomini), ma che vede invece in controtendenza un aumento significativo della quota di sedentari tra i giovanissimi di 14-19 anni (per i quali la quota di soggetti sedentari è passata dal 18,6% al 20,9%). Stabile è la quota dei fumatori e alterno nel 2020-2021 il consumo di alcol a rischio (sia forti bevitori che ubriacature).
Assume un rilievo particolare nei due anni di pandemia l’analisi dell’indice di salute mentale per tentare di monitorare gli effetti sulla componente psicologica ed emotiva che si suppone sia stata maggiormente sottoposta ai considerevoli cambiamenti cui ci ha costretto la pandemia. A fronte di un indice che risulta complessivamente stabile nel totale della popolazione l’indice decresce (peggioramento della salute mentale) nelle donne e cresce negli uomini, incrementando la differenza di genere; diminuiscono le differenze tra over 75 e 14-19 anni, particolarmente per il deterioramento del benessere psicologico tra i ragazzi nel 2021: -4,6 punti rispetto al 2020 per le ragazze -2,4 punti per i ragazzi. Tra le donne, peraltro, il peggioramento della salute mentale riguarda anche la classe di età 20-24 anni (-3,4 rispetto al 2019).
Tra l’altro, sono proprio i giovani tra 14 e 19 anni gli unici ad aver conosciuto un deterioramento significativo della soddisfazione per la vita (i molto soddisfatti sono passati dal 56,9% del 2019 al 52,3% del 2021; gli adolescenti insoddisfatti e con un basso punteggio di salute mentale dal 3,2% nel 2019 sono saliti al 6,2% nel 2021), segno di scarso benessere psicologico che ha dato luogo anche recentemente a fenomeni di bullismo, violenza e vandalismo a opera di giovanissimi, manifestazioni estreme di una sofferenza e di un’irrequietezza diffuse e forse non transitorie. Peraltro, e non è situazione da prendere sottogamba, l’Italia ha il triste primato in Europa per i giovani tra 15 e 29 anni che non sono più inseriti in un percorso scolastico o formativo e neppure impegnati in un’attività lavorativa (i cosiddetti Neet: Not in Employment, Education or Training).
Un’ultima considerazione la prendiamo dal capitolo che esamina la qualità dei servizi erogati, e nello specifico di quelli sanitari e socio-sanitari. È in crescita la percentuale di persone che hanno dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie ritenute necessarie (la rinuncia a visite specialistiche o esami diagnostici per problemi economici o legati alle difficoltà di accesso al servizio è passata dal 6,3% del 2019 al 9,6% del 2020 ed all’11% del 2021), mentre è in diminuzione la migrazione sanitaria (i ricoveri in altre regioni). Tra l’altro, la rinuncia a prestazioni sanitarie, che fino al 2019 mostrava un chiaro gradiente territoriale Nord-Sud a svantaggio di quest’ultimo, negli ultimi due anni si è omogeneizzata su tutto il territorio. Si è osservato invece, e questo è senza dubbio associato alla necessità di limitare la diffusione della pandemia, un crescente ricorso all’assistenza domiciliare (soprattutto ADI), in particolare per le persone anziane.
In definitiva, il rapporto 2021 sul Benessere equo e sostenibile ci restituisce uno stato del Paese, per quanto riguarda le tematiche sanitarie lette attraverso la lente del benessere dei cittadini, che mette per iscritto e quantifica tutta una serie di difficoltà e fragilità che ripetutamente da queste colonne abbiamo posto alla attenzione dei lettori (si veda anche la recente raccolta di editoriali), difficoltà e fragilità che la pandemia ha a volte creato (si pensi alla sovramortalità associata al virus Sars-Cov-2), altre volte ha accentuato (il difficile rapporto dei cittadini con il servizio sanitario), e altre volte ancora ha tolto dalla situazione di incertezza e ombra che le caratterizzava agli occhi di molti. Da questo punto di vista il caso più eclatante riguarda il disagio giovanile, largamente descritto, qualificato e quantificato nel rapporto, e appare quindi assai motivata la preoccupazione del Presidente dell’Istat (Gian Carlo Blangiardo) nella Presentazione del rapporto stesso quando dice che “sono stati i bambini, gli adolescenti e i giovanissimi a pagare un altissimo tributo alla pandemia e alle restrizioni imposte dalle misure di contrasto ai contagi. Sono loro a richiedere, oggi e negli anni a venire, la massima attenzione da parte delle politiche“.