Dapprima è arrivata l’invasione, che ha funestato un inverno già segnato dalla quarta pervasiva ondata della pandemia. Negli ultimi giorni di febbraio le proteste degli adolescenti per lo stato dell’istruzione e il nuovo esame di Stato si sono ammutolite, lasciando spazio all’incredulità per quanto stava accadendo in Ucraina. I ragazzi sembravano agitati, scossi, preoccupati: volevano capire, sapere, riflettere.
Il passare dei giorni ha trasformato quella curiosità in generosità per i profughi in arrivo dal fronte: raccolte di generi alimentari, vestiario, beni di primo soccorso. Chi sapeva un po’ di russo si è mobilitato come mediatore, altri hanno preparato pasti caldi o hanno aiutato il fiume umano di persone in coda ai centri vaccinali, offrendo ogni tipo di compagnia e di supporto. Ma il tempo questa volta non è stato galantuomo e il perdurare del conflitto ha acceso dinamiche nuove: la sensazione è che anche la guerra, tra i giovani, sia diventata una sorta di bene di consumo, esaurito il quale si esaurisce anche l’interesse per il fatto in sé.
Ci si abitua, si vuole andare avanti. Certo resta il dispiacere, in tanti l’impegno nel volontariato, ma la generosità raramente si trasforma in fedeltà. Dopo un po’ anche le notizie stufano, come stufano gli approfondimenti, il punto militare, gli scenari. È la parabola di una generazione che non riesce ad avere un buon rapporto con le profondità, con tutti quei fenomeni che richiedono un lavoro su se stessi e una perseveranza dentro quell’aridità che nessuno si azzarda a mettere davvero alla prova.
Riprende centralità l’eliminazione dell’Italia dai mondiali, l’Eurovision, la nuova stagione delle discoteche: la voglia di nulla combatte aspramente con quel qualcosa che abita dietro le montagne e che minaccia un intero modo di concepire la vita.
Anche la solidarietà e la compassione sembrano diventare qualcosa da mordere e da mangiare in fretta, quasi ad aver paura che da quelle esperienze possano sorgere domande indomite capaci di fermare la fuga e la voglia di evasione di chiunque. Questa volta non possiamo dire che gli adulti siano stati assenti o che i ragazzi siano in qualche modo tarlati nell’anima. È la paura la vera protagonista, l’inquietudine per quello che si può scoprire nel silenzio della realtà che, improvvisamente, è tornata a presentare il conto e che chiede a tutti noi di smettere di consumare. Per ricominciare ad ascoltare. In fondo per tornare a perdonare.
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