La scuola, per definizione, è un luogo istituzionale dove si incontrano diverse generazioni. Ciò è particolarmente vero in Italia, dove l’età media del corpo insegnante è piuttosto elevata. Gli studenti delle superiori hanno mediamente insegnanti che hanno da trenta a quarant’anni più di loro, nella scuola primaria il divario è ancora maggiore.
Il problema non riguarda solo la scuola. Nelle nostre società convivono nello stesso presente persone che si sono formate in epoche diverse: siamo tutti contemporanei, ma in realtà apparteniamo storicamente a tempi storici diversi. Il fenomeno più evidente è il rapporto con la rivoluzione digitale: molti insegnanti si sono formati prima e hanno dovuto adattarsi con maggiore o minore difficoltà ai cambiamenti che essa ha comportato in pressoché tutti gli ambiti di vita. Spesso dobbiamo riconoscere che abbiamo molto da imparare dai nostri figli o alunni, i “nativi digitali”.
Ma l’aspetto tecnologico è solo il più evidente: in tutti campi i cambiamenti avvenuti nell’ultimo mezzo secolo sono stati impressionanti. Molti insegnanti sono nati e cresciuti in piena “guerra fredda”, nella contrapposizione ideologica tra democrazia e comunismo; i nostri figli/alunni nell’epoca di dissoluzione di vecchie e di comparsa di nuove ideologie. Noi abbiamo sentito parlare tardi della crisi ambientale, loro ci sono nati dentro.
Come ha scritto uno dei più interessanti sociologi attuali, il tedesco Hartmut Rosa, tutti questi cambiamenti, e molti altri ancora, sono dovuti alla straordinaria accelerazione subita dalle società contemporanee e iniziata un paio di secoli fa con la rivoluzione industriale. L’accelerazione non ha solo cambiato le concezioni del tempo e dello spazio, ma ha cambiato i modi di abitare, di produrre, di consumare, di divertirsi. E, dato da non trascurare, ha moltiplicato in due secoli di dieci volte la popolazione umana sul pianeta Terra. L’accelerazione ha accentuato la distanza tra le generazioni.
Non possiamo ignorare che questa distanza ha conseguenze notevoli sui processi educativi.
Una delle conseguenze più evidenti dell’accelerazione è che il futuro è diventato sempre più incerto e imprevedibile: nel lontano passato il mondo non cambiava nell’arco di una vita umana (che peraltro era anche più breve), oggi il mondo cambia radicalmente tra la nascita e la morte della vita media di ogni essere umano. Nei tempi lenti del passato la saggezza dei vecchi (che erano pochi) era il patrimonio da trasmettere alla nuove generazioni. L’accelerazione ha eroso quel capitale di saggezza. Oggi, dobbiamo addestrare le nuove generazioni ad affrontare un mondo che, né loro né noi, sappiamo come sarà. Dobbiamo dare loro quelle sicurezze che consentano loro di affrontare l’incertezza.
Il rischio che l’incertezza del futuro riduca l’orizzonte temporale, l’oblio del passato e l’accorciamento del futuro e induca un ripiegamento sul presente e sull’immediato, è evidentemente reale. Oltre al compito di trasmettere il sapere, l’educazione dovrebbe avere il compito di costruire la fiducia di saper fronteggiare l’incertezza del proprio futuro, individuale e collettivo. La fiducia in sé stessi, nei propri simili e nel mondo è la grande risorsa che consente di affrontare l’incertezza. Fiducia nella propria forza nella consapevolezza anche dei suoi limiti.
Tradotto in termini pedagogici, incoraggiare chi ha difficoltà convincendolo che ce la può fare, e avvertire i ragazzi più talentuosi a non sottovalutare gli ostacoli.
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