Stalin fece ripetere la capitolazione della Wehrmacht del 7 maggio 1945. Chiese che fosse firmata di nuovo due giorni dopo in modo che i rappresentanti sovietici fossero presenti. I nazisti riconobbero la loro sconfitta. E l’uomo d’acciaio commemorò quella data e quell’evento tutti gli anni con la parata del Giorno della Vittoria per mostrare il potere di Mosca. Stalin collaborò seriamente nel porre fine ai piani di Hitler, ma la sua ubriacatura ideologica causò tra i 13 e i 15 milioni di morti. Un totalitarismo assomiglia a un altro come una goccia d’acqua. 

Quest’anno Putin ha voluto celebrare la presunta “denazificazione” dell’Ucraina il 9 maggio. Ma non c’era molto da festeggiare. Quando Putin ha iniziato questa guerra, come spesso accade, pensava che l’avrebbe finita presto e che la vittoria sarebbe stata schiacciante. La lotta per il controllo dell’Ucraina meridionale e orientale è diventata una sorta di crociata apocalittica contro una presunta russofobia e contro le forze del male incarnate dalla Nato. È molto probabile che l’invasione si trasformerà in un pantano. Ci sono sempre più città nel Paese che assomigliano a quelle siriane. I feriti non sono come quelli della Seconda guerra mondiale, ma come quelli della Prima: molti hanno il volto sfigurato e subiscono terribili amputazioni. 

Quasi fin dall’inizio abbiamo appreso che Putin non aveva valutato adeguatamente né la debolezza del suo esercito, né la forza del popolo ucraino. Né apprezzava una questione di cui si parla poco: la radice antropologica di quella forza. 

L’esercito di Putin ora ha un comando più unificato. Ma le sue truppe hanno subito molte perdite, devono usare le strade e questo le rende vulnerabili. La forza area russa rimane in gran parte bloccata. Anche l’esercito ucraino sta vacillando, ed è per questo che il sostegno occidentale è così importante. 

Perché ci siano negoziati di pace sarebbe necessario che Putin riconoscesse che la guerra sta andando male e che le previsioni di una vittoria russa non sono molto favorevoli. Non sembra, però, che Putin lo ammetterà. Ecco perché l’élite militare russa dovrebbe valutare le conseguenze di una situazione di stallo nel Donbass e cercare di forzare un accordo. Dall’altra parte, Zelensky deve valutare se sia realistico pensare a una vittoria ucraina che espellerebbe completamente i russi dal suo Paese. Siamo di fronte a un conflitto asimmetrico: sappiamo che la Nato non userà armi nucleari, temiamo che Putin sia disposto a usarle. Quando ci sono armi nucleari di mezzo, non si può parlare di una vittoria o di una sconfitta come nelle guerre convenzionali. 

È una tragedia che la guerra si prolunghi. Tutta la sofferenza che ha generato e genera ci mostra la differenza tra un modo disumano e devastante di esercitare il potere (Putin) e la forza del desiderio di giustizia (popolo ucraino). Questo è più importante delle questioni geostrategiche, infatti le spiega. Tra Stalin e Putin non ci sono molte somiglianze, ma c’è qualcosa in cui si assomigliano: nei regimi totalitari e nei regimi autocratici, lo Stato finge di essere tutto e cerca sempre di tenere le persone lontane l’una dall’altra. È anche tipico di alcuni poteri economici. Diventa, quindi, difficile condividere progetti creativi o produttivi. I cittadini hanno paura di parlare tra loro. Arendt diceva che il terrore può governare in forma assoluta solo gli uomini che sono isolati. La dimensione politica della solitudine non è solo un problema dei Paesi in cui non ci sono libertà. Nonostante siamo tutti assolutamente connessi, un cittadino dell’Ue su quattro si sente solo. L’isolamento soffoca la speranza, il desiderio di partecipare alla vita pubblica. 

La solitudine è di tale portata che i soliti partiti, le organizzazioni della società civile, le associazioni religiose non servono più da rimedio. L’origine dell’isolamento sta nel fatto che “le persone si vergognano di essere nel bisogno” e ciò provoca “una decisa sfiducia negli altri” (Sennett). La solitudine non si supera più difendendo il valore sociologico, i legami esterni, di un popolo. Maggiore è la consapevolezza della necessità – di creare impresa, di fare giustizia, di avere un senso nella vita – più sono possibili le relazioni di amicizia. Relazioni non determinate dal calcolo, dalla violenza o dalla militanza. La lotta per le idee, per la buona dottrina, non ci porta fuori dall’isolamento. 

Paradossalmente, la solitudine viene superata quando almeno uno, tra i tanti, è consapevole che il bisogno di senso lo lascia impotente, disarmato. Questo è ciò che genera legami e pace. La consapevolezza del bisogno e l’attesa di un evento fortuito che vi risponda. La consapevolezza del bisogno e il riconoscimento delle persone che, improvvisamente, lo assalgono e ci danno più di quanto sognassimo.

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