Le Marche offrono un banco di prova per quello che può essere considerato il tallone d’Achille della vita democratica, la “sussidiarietà decisionale”, vale a dire la capacità di un dialogo reale tra potere centrale, enti locali, imprese, realtà non profit, associazioni di categoria, sindacati, istituzioni varie, quali università e camere di commercio. Se ne è avuta conferma all’incontro dal titolo “Marche: quali infrastrutture di trasporto per uno sviluppo sostenibile. Le richieste delle comunità locali” organizzato il 23 maggio a San Benedetto del Tronto da Fondazione San Giacomo e Fondazione per la Sussidiarietà, a cui ha partecipato anche il Presidente della Regione Marche Francesco Acquaroli: il confronto ha offerto spunti di carattere generale sulla convivenza sociale e politica, ben oltre la specificità del tema.

Le Marche – regione a sviluppo diffuso, con una manifattura fatta prevalentemente da imprese di piccole dimensioni – sono alla ricerca di una nuova identità economica. Occorrerebbero trasporti veloci ed efficienti, mentre oggi sono obsoleti e mal collocati. La ferrovia scorre lungo il litorale mortificando la spiaggia e attraversando il centro di paesi e città. Le strade statali entrano continuamente nei centri abitati e sono quindi inadatte al traffico di lunga percorrenza. L’autostrada, unica via per spostamenti interregionali o tra località distanti, è a tre corsie solo nella parte nord della Regione.

Sono quindi necessari la realizzazione dell’alta velocità ferroviaria e l’ampliamento dell’autostrada. Ma qui si pongono problemi di sostenibilità importanti e ineludibili. Realizzare l’alta velocità nella sede attuale comporterebbe un rumore insopportabile per gli abitati e le inevitabili barriere antirumore dividerebbero in due le città e deturperebbero ulteriormente le spiagge. L’altra soluzione, l’arretramento della linea, avrebbe anche il vantaggio di destinare quella attuale al traffico locale, ma aumenterebbero i costi e si allungherebbero i tempi. D’altro canto se la si arretra, c’è il rischio grave di danneggiare ambiente e paesaggio, e di dire addio al turismo raffinato e amante dell’ambiente che si desidera per il futuro prossimo della Regione. Anche l’allargamento dell’autostrada per dotarla della terza corsia si scontra con le difficoltà geomorfologiche del territorio.

E a questo punto si pone la prima questione di ordine generale: chi deve decidere? E con che metodo? Il tempo degli ecomostri, figli di un approccio centralista poco attento alle persone e all’ambiente, pare alle spalle. Non altrettanto si può dire di opere pubbliche necessarie, progettate in modo sostenibile, che non vengono realizzate perché “vanno bene ma non nel giardino di casa mia”.

Viene qui a galla la vera carenza democratica del nostro Paese che è nella renitenza a una “sussidiarietà decisionale”. 

Il dialogo tra i diversi soggetti, pubblici e privati coinvolti, che porterebbe a decisioni più oculate, non avviene quasi mai perché sul senso del bene comune prevalgono troppo spesso veti incrociati, gelosie e spinte corporative. L’incapacità, ahimè frequente, di spendere i fondi europei deriva spesso proprio dalla mancata concertazione dei progetti. Non a caso il metodo della concertazione è indicato dalla Commissione europea per quanto riguarda l’attuazione del Pnrr. Il paragrafo 22 delle raccomandazioni specifiche all’Italia afferma che “il coinvolgimento sistematico delle parti sociali e di altri importanti stakeholders rimane importante per l’efficace attuazione del Pnrr, nonché di altre politiche economiche e occupazionali che vanno oltre il Piano, per assicurare un’ampia titolarità dell’intera agenda politica”.

C’è però una seconda questione ineludibile: quale programma di sviluppo si persegue? Per stare alle Marche: puntare ancora sulla manifattura o buttarsi su un turismo di qualità e nello stesso tempo popolare grazie alla bellezza non sfruttata dell’interno e alla riscoperta delle coste tornate appetibili per molti dopo le restrizioni dovute al Covid? Si devono abbandonare definitivamente i borghi interni che si stanno spopolando? Quali correttivi attuare per lottare contro un nanismo dimensionale delle imprese che mina lo sviluppo? Come evitare che i giovani laureati emigrino? 

Logica vorrebbe che un dibattito sui trasporti sia un “di cui” di una riflessione seria sull’identità e sulle potenzialità future di un territorio. Ma in Italia questo non avviene quasi mai: gli strumenti non sono correlati agli obiettivi perché il lungo periodo è normalmente considerato troppo astratto e lontano. E così la continua emergenza rende le decisioni sempre affrettate e poco lungimiranti. Le conseguenti lacrime sono di coccodrillo.

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