Dopo i primi momenti di naturale eccitazione per via del potenziale flusso di denaro in arrivo (20 miliardi in 5 anni), è apparso subito chiaro che la realizzazione degli obiettivi del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) per la missione 6 (Assistenza sanitaria) sarebbe stata una sfida non facile da tanti punti di vista.

Il primo ostacolo, e di gran lunga il più rilevante, è il quadro programmatorio complessivo in cui il Pnrr si è inserito con la pretesa di mettere ordine in un settore largamente trascurato del Servizio sanitario nazionale, e cioè l’assistenza territoriale.

Ne abbiamo ripetutamente parlato sul Sussidiario per evidenziare, innanzitutto, come nel nostro paese è assente un modello condiviso di assistenza territoriale, modello che (almeno sulla carta) esiste invece per il comparto ospedaliero regolato dal Dm 70 del 2 aprile 2015 (“Regolamento recante la definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera”).

In questa assenza di un modello di riferimento il Pnrr si è inserito forzosamente con la proposta di alcune soluzioni tecniche (ospedali di comunità, case di comunità, centrali operative, digitalizzazione e telemedicina, …), della cui adeguatezza ad affrontare il tema dell’assistenza territoriale si dovrebbe discutere a lungo, in assenza di un quadro normativo cui appoggiarsi e di specifiche caratterizzazioni delle stesse proposte tecniche.

Si è così dovuto frettolosamente predisporre un documento di requisiti standard (il cosiddetto Dm 71) che, per motivi che qui non interessa discutere o approfondire, non ha avuto nemmeno la condivisione della Conferenza Stato-Regioni, chiaro segnale delle difficoltà realizzative che il Pnrr sta incontrando nella sua implementazione in alcuni territori.

Ad oggi ci risulta che una sola regione (la Lombardia, condivisibile o meno che sia l’approccio da essa adottato) ha modificato l’organizzazione del proprio Servizio sanitario regionale per tenere conto delle proposte contenute nel Pnrr (vedi “Legge regionale 14 dicembre 2021 – n. 22: Modifiche al Titolo I e al Titolo VII della legge regionale 30 dicembre 2009, n. 33 (Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità)”), e forse proprio in virtù di questa modifica legislativa appare la regione più impegnata nella realizzazione delle opere previste dal Piano di resilienza: ogni settimana si ha notizia dell’apertura di case e ospedali di comunità, di diversa struttura e dimensione in funzione dell’eterogeneità delle esigenze (sussidiarietà) espresse da differenti territori. Non si ha notizia di analoghi interventi in molte altre regioni, che non nominiamo per evitare di essere accusati di partigianeria, ma che danno l’idea di quanto sia facile perdere il treno del Pnrr e delle risorse ad esso collegate.

Nei luoghi dove sono in corso dei tentativi i cittadini e le istituzioni locali si chiedono se si stiano attivando dei semplici contenitori (strutture, locali, spazi, …) o invece si stiano realizzando dei contenuti (studi di Mmg, reti di prossimità, coinvolgimento degli specialisti, attività socio-sanitarie, presa in carico di pazienti fragili, …) per la realizzazione dei quali non basta rimettere in funzione (o rinnovare) strutture desuete e disponibili, ma occorre coinvolgere forze locali, associazioni, e soprattutto professionisti (Mmg, specialisti, infermieri, assistenti sanitarie e sociali, …).

L’assenza di un modello concettuale per l’assistenza territoriale sembra giustificare la lunga (e talvolta non utile) discussione attorno alle caratteristiche standard (Dm 71) che devono avere gli oggetti di tale assistenza (case e ospedali di comunità, …) previsti dal Pnrr, ma in questo modo non si fa altro che rallentare la messa in opera di tentativi reali (servizi da erogare), privilegiando invece l’inaugurazione di strutture che rischiano di diventare (mini) cattedrali nel deserto.

C’è invece bisogno, innanzitutto, di realizzare esperienze concrete, anche diverse ed eterogenee, che dimostrino la possibilità di erogare assistenza territoriale, di creare reti di prossimità, di prendere in carico pazienti fragili, di avvicinarsi al bisogno dei cittadini: in questo modo sarà l’esperienza a indirizzare e individuare gli standard per l’erogazione dei servizi, anziché vedere la replicazione in fotocopia di requisiti originati a tavolino che altro non possono essere che maldestri tentativi di far finta che i territori e i bisogni dei cittadini siano tutti uguali e standardizzabili.

Se l’ottica della sussidiarietà, della prossimità al bisogno, rappresenta la prospettiva necessaria e vincente nella realizzazione delle strutture e dei servizi previsti dal Pnrr, occorre anche sottolineare la parzialità e incompletezza di un affronto dell’assistenza territoriale che si limitasse al contesto più strettamente sanitario: c’è bisogno anche di assistenza socio-sanitaria, ma di questa necessità purtroppo il Pnrr si è dimenticato.

Ci auguriamo che si provveda in fase applicativa, con iniziative che sappiano andare oltre le eventuali ristrettezze e i confini posti dagli standard in discussione.

Un approfondimento di queste tematiche avverrà nel webinar organizzato per il 9 maggio alle ore 18 dalla Fondazione per la Sussidiarietà.

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