Voci nella tempesta

Le pecore riconoscono la sua voce, e Gesù promette loro la vita eterna. Solo il peccato, sconfitto sulla Croce, tenta di dividerle dal Pastore buono

Basta una voce, certi giorni, per acquietare una tempesta: “Le mie pecore ascoltano la mia voce”. Il tono della voce, per chi l’ascolta e non si accontenta di sentirla, è capace di raccontarti molto più cose su quella persona di quanto lui possa dire di sé: padronanza, anche alleanza e imbroglio di una voce. Le parole sono potenti, posseggono una forza d’urto impareggiabile, sono contraeree che, arrampicandosi nel collo, rotolano giù a rotta di collo laddove le si lancia. 

Ma è il come si pronunciano quelle parole, il tono della voce che le si addossa, a fare sì che quelle parole, oltreché informare, confortino. Cristoddìo, con le pecore, è come mamma dentro casa: le parole possono essere quelle più (ab)usate, ma è il modo di dirle, quel modo di pronunciarle, quel nomignolo ch’è nome in codice. E chi l’ascolta, per quanto cerchi di trattenersi, sente la felicità che gli esplode in petto: “Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno”. 

Non fornisce soltanto un’informazione: basterebbe usare la parola. Vuole offrire l’eternità alle parole pronunciate: e il tono della voce, questo sì, ti racconta ciò che sta al di là delle parole. Verrebbe da trafugare le parole ai poeti per narrare l’erotismo che è nascosto in certe voci: “Come posso dire se la tua voce è bella. So solo che mi penetra e mi fa tremare come una foglia e mi lacera e mi dirompe” (K. Boye).

Che poi, a ben pensarci, la musicalità della voce sta tutta nelle mani che sanno toccare le tue corde: “Donna, perché piangi? Nessuno ti ha condannata? Che cosa vuoi che io ti faccia? Credi tu nel Figlio dell’Uomo?” Basta ascoltare la voce, senza lasciarsi distrarre dalle parole, per captare il rimbombo delle anime che le pronunciano. E ogni anima ha un timbro suo personale, nessun’anima ha una voce scordata: c’è sempre un Dio che, con mani da artigiano, è ferrato nel tendere nuovamente le corde, come un cieco che accordasse il suo pianoforte. 

Perché, mano nella mano, ci si lancia meglio: è per questo che, di certe mani, i Vangeli giurano che sono fatte apposta per prenderci dimora. E nasce il sogno di restarci: “Non andranno perdute in eterno, nessuno le strapperà dalla mia mano”. Nessuno ci riuscirà, solamente il peccato: quella fuffa che, con la voce suadente e pestifera, tenterà in tutti i modi di invitarci a firmare la disdetta del contratto di affitto dalle mani del Pastore buono. Che, suo malgrado, lascia liberi di andare altrove, non senza prima aver dato l’ultima carezza: “Se deciderete di farvi manipolare da altre mani che non siano le mie – pare dica –, se non altro cercate mani per cui ne valga la pena”. Nel frattempo, chi deciderà di sostare nelle sue mani, dorma sonni tranquilli: “Nessuno le strapperà dalla mia mano”.

C’è un surplus di erotismo nella figura del Cristoddìo: l’erotismo della voce, l’erotismo silenzioso delle sue mani. Più inequivocabili delle impronte digitali ci sono le sfumature della voce, il rintocco delle mani, la carezza di una presenza. La sicurezza di non essere mai più da soli a passeggiare per questo pianeta: “Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola” (cfr Gv 10,27-30).

Sembra strano quasi a dirsi, ma è pur vero che la voce e le mani hanno memoria: c’è una storia fatta di segreti, rimbalzi, memorie che ci si confida solo in certi momenti, soltanto con certe persone. In ogni voce, dentro ogni mano, ci sono sempre nascoste due storie: quella ufficiale, da leggersi accuratamente col timbro di voce impostato, e quella segreta, da pronunciarsi in punta di labbra, mano nella mano, nessuno attorno. Delle mani di Dio adoro la voce, della voce di Dio mi piace il tocco di mano con cui parla. Sovente, meno spesso di quanto meriterebbe, lo sto ad ascoltare e mi verrebbe da interromperlo: “Fermati! Non senti com’è bella la tua voce? Hai una voce incantevole, Diommio!”. Mi accorgo che, in silenzio e mano nella mano, è un modo dolcissimo per attraversare la vita non da soli.

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