Vivere nella storia senza scorciatoie

Anselm Kiefer a Palazzo Ducale a Venezia e Romeo Castellucci nella Sala delle Cerimonie della Triennale a Milano: arte che si misura con la storia, senza scorciatoie

Per fortuna l’arte, anche in tempi così futili e pettegoli, a volte si prende la responsabilità di misurarsi con la storia. Recentemente ne abbiamo avuti due importanti testimonianze: a Venezia un grande artista tedesco, Anselm Kiefer, ha allestito un’imponente e drammatica installazione all’interno di una delle più maestose sale di Palazzo Ducale; a Milano, uno dei più acclamati registi viventi, Romeo Castellucci, ha proposto nella spaziosissima Sala delle Cerimonie della Triennale una performance semplice e impressionante, intitolata “domani” (minuscolo, per evitare un approccio retorico). Cosa accomuna queste due esperienze? 

Una forza radicale, una volontà di affrontare questo frangente della storia senza aggirarne la drammaticità. Kiefer e Castellucci usano linguaggi diversi, ma sembrano obbedire ad una stessa urgenza: addentrarsi nel presente, per raccoglierne le risonanze più inascoltate e più profonde.

All’artista tedesco era stato proposto un intervento a Palazzo Ducale, pensato come intervento di “arte pubblica”. Quando si parla di “arte pubblica” in genere il rischio è quello di trovarsi davanti ad opere che cerchino un consenso e che usino il linguaggio accondiscendente anche se ammantato di antagonismo. Kiefer invece ha proposto un intervento imponente, dal sapore biblico, dove la storia di Venezia diventa la leva per squadernare i grandi temi della storia di oggi. 

La Sala dello Scrutinio (quella dove venivano eletti i dogi) è infatti decorata con grandi tele che raccontano alcuni episodi chiave della città lagunare. Kiefer si è sovrapposto con un allestimento, frutto di un lavoro pittorico monumentale, fasciando interamente la sala con i suoi interventi. Così entrare nella Sala dello Scrutinio è come calarsi dentro la scena drammatica della modernità, senza che vengano offerte vie di fuga velleitarie nel segno del “moralmente corretto” o di una improbabile innocenza. Le tracce della storia veneziana si intrecciano continuamente con le tracce della storia presente. In uno dei grandi pannelli troviamo, solitaria, la bara di San Marco, che evoca l’episodio celebre del trafugamento del suo corpo. In quello vicino invece vediamo una sfilata di carrelli della spesa e di tricicli. Sono carichi in modo strabordante di mercanzie diverse, carbone, paglia, o prodotti della terra che evocano l’antica ricchezza veneziana: è però una ridondanza disperata, manifestazione di una globalizzazione regredita ad una sintassi primitiva. 

Davanti alla scena tracollante della storia Kiefer non si rifugia però in un’estetica del disastro. Il suo, al contrario, è un atto maestoso e potentemente interrogativo, reso possibile grazie ad una pittura di straordinaria prodigalità, dove la monumentalità dell’esecuzione è funzionale a restituire l’intensità della visione e la profonda commozione per il destino del mondo (l’installazione di Kiefer è visitabile sino al 29 ottobre).

È un sentimento che inevitabilmente si riceveva anche davanti all’anziana protagonista della performance di Romeo Castellucci: Ana Lucia Barbosa, ipovedente, si trascinava per il grande spazio della Triennale, appoggiandosi ad un lungo bastone, la cui punta era infilata in una scarpa di bambino. “domani è il passo davanti a noi”, ha scritto Castellucci nella breve presentazione ad un’azione che non chiedeva altro che di essere vista e vissuta. L’accompagnamento sonoro di Scott Gibbons, potente, con strappi di intensità quasi insostenibile, avrebbe potuto benissimo essere sottofondo adeguato per le grandi tele di Kiefer… Nel procedere della protagonista si avverte tutta la fatica che pesa sulle spalle del mondo; il non vedere diventa metafora di una povertà da cui tutti siamo investiti; la fatica del procedere in quello spazio monito contro ogni presunzione intellettuale. C’è poi quella scarpina che apre il cammino e lo rende anche possibile, facendo scivolare il lungo bastone sul pavimento. È il segno esile e fragile di una speranza che si insinua tra le rovine della storia. E come in Kiefer, anche in questo caso si avverte l’eco di un’uguale commozione per il destino del mondo.

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