La guerra giusta

Secondo un sondaggio organizzato dal "Mattino" e dai Verdi campani, il 33% dei giovani dice che ai boss si deve "rispetto"

Le scuole di Napoli hanno somministrato ai loro alunni dei questionari molto dettagliati sulla percezione che i ragazzi hanno del fenomeno malavitoso. Il quadro che ne emerge ha sorpreso non poco. A lasciare quasi senza fiato è la conoscenza maggiore di tanti protagonisti negativi della storia e dell’immaginario di camorra, da Raffaele Cutolo al Ciro di Gomorra, rispetto a chi per combatterla si è sacrificato, da don Giuseppe Diana a Giancarlo Siani. I ragazzi hanno un Olimpo immaginario sulla criminalità costellato di imagini negative nitide ed una conoscenza confusa di chi  qualcosa di buono lo ha fatto.

Il mito del crimine organizzato si nutre di questa epopea fatta di violenza e potere che si auto-narra oggi attraverso i social e che ha portato, ad esempio, molti a dare solidarietà a Cutolo, quando è morto, come se fosse un personaggio pubblico degno di nota. Un farabutto che ha ammazzato e fatto ammazzare migliaia di persone, che ha invaso con la droga le piazze e ricostruito col gesso i palazzi crollati dopo il terremoto, nonostante ciò ha avuto commenti, video e attestati da ragazzi e accoliti che lo hanno idolatrato perpetuandone il mito.

Di contro, un prete come don Diana, trucidato per la sua nitida fermezza nell’opporsi alle violenze ed ai soprusi, è conosciuto meno, molto meno, di chi quella violenza la ha praticata. Ma le sorprese non finiscono qui. Oltre un terzo dei ragazzi dichiara di provare comunque rispetto per i boss di camorra, come “uomini di onore”, e ritiene che l’omertà malavitosa sia un valore positivo. Testimoniando una più che piena adesione ad un sistema di “valori” alternativo a quello che la società civile dovrebbe praticare.

Il dato è interessante se rapportato ai motivi che, a dire dei ragazzi, portano ad aderire a quello stile di vita. Molto più che ai sociologi, per loro è chiaro, dalle risposte, che la scelta criminale non ha nulla a che vedere con il bisogno di sfamarsi. Anzi, è una scelta che si pratica per avere più lusso, per avere più rispetto, per essere gratificati dal potere che la violenza genera attraverso la paura. Questa idea la hanno oltre i due terzi dei rispondenti ai questionari che ben hanno compreso, dal loro punto di vista, che la camorra e la malavita non sono un effetto della povertà, ma uno stile di vita ampiamente alternativo a quello di chi vive nella legalità. Un mondo che, con i suoi modelli, è vincente perché supera l’oblio della storia (Cutolo è stato incarcerato quando i genitori dei ragazzi erano adolescenti) ed offre uno stile di vita in linea con la volontà di esibizione e di affermazione che la società oggi a premia senza curarsi del come ci si è arrivati.

L’iniziativa, voluta dal quotidiano Il Mattino con i Verdi campani capeggiati da Borrelli, lascia fin troppe domande sul campo agli educatori ed alle istituzioni su come sia gestita la narrazione della mafia e della camorra nella scuole, che appaiono su questi temi, per stessa ammissione dei ragazzi, poco presenti.

Ma apre anche una riflessione più che necessaria. Lo sforzo di sottrarre il Mezzogiorno all’arretratezza della sua economia attraverso gli investimenti non può essere vinto senza un progetto culturale ampio e ferocemente pervasivo che entri nello spin narrativo della camorra e ne distrugga coi fatti il mito.

La criminalità organizzata  è la prima responsabile dello stato di perenne ricatto in cui vive la società meridionale, perché pratica la violenza e l’ostentazione dei trofei guadagnati con la forza senza una adeguata risposta dello Stato. Occuparsi solo dei grandi latitanti e dei grandi clan ha funzionato fino ad un lustro fa. Oggi la camorra si è sciolta ed è entrata nella società facendo accettare i propri codici morali come giusti e corretti ed i propri esponenti come personaggi positivi anche da chi di camorra non vive. Ha così creato un senso diffuso di consenso a stili di vita violenti, incivili e criminali che vengono guardati non più con disprezzo, ma con un malcelato sensi di comprensione se non di condivisione.

La violenza del sopruso e della sopraffazione è così diventata culturalmente accettabile, come è passato il concetto che prendersi la ricchezza effimera attraverso condotte criminali è una possibilità concreta, una strada che affascina ancora troppi ragazzi che abbandonano la scuola e seguono una matrice culturale, spesso familiare, che ha fatto della vita di strada, della violenza, delle regole mafiose, la prima ragione di benessere materiale ed identità culturale.

Tutto ciò nonostante don Diana, Siani, Gelsomina Verde, la loro coetanea torturata ed arsa dalla camorra senza motivo. E nonostante i tanti uccisi per uno sguardo o una parola di troppo, da Maurizio Estate, accoltellato ragazzino nel 1993, a Giovanni Guarino, morto a 19 anni pochi giorni fa per i fendenti criminali tirati da mani diverse ma appartenente dalla stessa cultura.

Su questo la società civile, ma soprattuto la scuola, deve rimettersi in cammino e svolgere il ruolo di agente educativo che non accetta il relativismo culturale della comprensione degli altri a tutti costi. La violenza, il crimine, la camorra, la mafia e la ndrangheta sono la cultura del male, dell’odio e della violenza contro cui si deve combattere senza mediazioni, partendo dalla richiesta che da quel sondaggio, così utile, viene con forza.

Parlarne di più con i ragazzi, raccontare le storie di chi ha lottato, costruire una società in cui gli eroi sono quelli pieni di amore per il prossimo e non quelli che ammazzano, spacciano o rubano per stappare champagne nei video e sentirsi così per qualche minuto immortali come i loro miti. Schierandosi definitamente dalla parte dei giusti, lo Stato in primis, come in una guerra. Da vincere a tutti i costi.

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