Colpisce quest’Iddio che va di casa in casa. Staziona sulla bocca di tutti: è ormai al massimo della sua autorità, la sua privacy non è più assicurata da anni e, tuttavia, non si taglia la barba e non si mette un cappuccio in testa per tentar di celare il suo viso. Ci mette la faccia.
Non dà appuntamento in qualche chiesa o sinagoga, come facevano i rabbini, come faranno i suoi preti: Lui, per natura, adora andare lui in prima persona. Farsi trovare sottocasa, bussare alla porta o suonare il campanello: «Gesù entrò in un villaggio e un donna, di nome Marta, lo ospitò». È un ebreo di quelli feroci il Cristo dei Vangeli: indipendente, a volte anticonvenzionale, addirittura indisponente. Un Dio domestico, soprattutto: non uno di quelli che lanciano accorati appelli sull’accoglienza e poi se n’infischiano. Uno, invece, di quelli che saluta per strada, ringrazia e ti guarda negli occhi. La sua accoglienza è pratica prima che essere teorica: “Fate attenzione, amici miei – sembra sentirlo dire – che l’attenzione incomincia dal molto piccolo, dal molto vicino, dalla porta del vicino”. Cristo, dunque, più che farsi cercare si mette Lui a cercare l’uomo. Che, da che mondo e mondo, è un po’ la sua vacanza segreta. Il suo luogo segreto di villeggiatura tutto l’anno. “Di meglio non trovo!” assicura.
Quando entra in casa, poi, frantuma la platea sempre a metà: c’è chi resta ad ascoltarlo, come Maria; e chi si dà da fare perché si senta “come se fosse a casa sua”, come Marta. La prima, a immaginarsela, par quasi imbambolata da quant’è attratta dalla presenza dell’Amico. Potesse raccontarci qualcosa di quel bel sguardo, giurerebbe che ogni volta che Lui la guarda, lei sente di rinascere nei suoi occhi. L’Ecce homo, che tante volte ha scelto quella casetta di Betania per fuggire dal clamore della folla, le mette addosso un non so che d’irrazionale al solo stare ad ascoltarlo: «Tra il clamore della folla ce ne stiamo io e te, felici di essere insieme, parlando senza dire nemmeno una parola» (W. Whitman). E lei, per il solo fatto d’essere in presenza dell’amore, sente d’amarlo non soltanto per chi è Lui, ma per chi sente di essere lei quando sta con Lui. Sapersi cercata è, per Maria, la dolcissima consolazione di valer, agli occhi di Dio, infinitamente più di quanto vale ai suoi occhi. Da come Lui la guarda, lei inizia a guardare sé medesima, altrettanto. È lo sguardo di Cristo, lì dentro, a fare la differenza.
Marta, invece, è una donna di casa: l’ospite è sacro, è bellissimo ascoltarlo, ma è altrettanto bello, finita la discussione, fargli trovare un boccone in tavola. È per questo che lei, mentre la sorella se ne sta seduta ad accoglierlo, trabatta tra pentole e stoviglie: per preparare qualcosa a quest’ospite che, quando arriva, lo fa sempre di sorpresa. S’innervosisce, perché vorrebbe un po’ di collaborazione dalla sorella: «Non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata da sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Invece picche, anzi doppie picche: «Marta tu ti affanni e agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno» (cfr Lc 10,38-42). È identica a me, Marta: vuol far qualcosa per il suo Gesù, per farlo sentire importante, per farlo sentire accolto, per trattarlo come merita. E, tutti presi dai mille propositi, a noi due sfugge che per Cristo il pasto preferito è la nostra amicizia. È accettare che sia Lui a fare qualcosa per noi, invece che essere noi a fare qualcosa per il nostro Dio in terra.
Io sono Marta, la mia ansia è quella di far stare bene Gesù: “Se c’è una soluzione perché ti preoccupi? Se non c’è una soluzione perché ti preoccupi?” sembra dirmi Lui, strizzando l’occhiolino a Maria. Che, sotto-sotto, ha forse intuito perché io mi nasconda nella scusa del mio lavoro piuttosto che stare seduto in compagnia; forse, ho paura d’innamorarmi di quest’Uomo. E non riesco a immaginare dove mi porterebbe se perdessi la testa per Lui. Allora è meglio riempirsi di lavoro, per poi rimarcarlo. Senza accorgermi che se presento a Dio i miei meriti, la sua Grazia diventa una ricompensa. E non è più amore.
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