Mi è tornata in mente una canzone di Enzo Jannacci (Tira a campà Pasquale, la dignità, l’infamità son cose tanto lontane) pensando ai partiti che hanno sfasciato il Governo, avendo in mente il loro modesto interesse (qualche punto in più alle prossime elezioni), anziché quello del Paese.
Un leader non votato dai cittadini, per governare, ha bisogno di un largo consenso dei partiti. Una parte consistente della società civile ha chiesto a Draghi di rimanere. Ma, a quanto pare, alcuni partiti non stati sono disponibili a ricostruire il patto di fiducia stipulato con gli italiani nel febbraio 2021. Questo, in sintesi, ciò che è andato in scena, nelle parole e nei fatti, in questi giorni.
“L’Italia è forte quando è unita”, ha detto l’ex premier nel suo discorso di mercoledì al Senato. Non si è forti con la retorica, però. Lo si è invece in certi momenti, sacrificando il proprio interesse particolare per quello generale. Lo si è avendo come faro le esigenze concrete delle persone. Per questo la gran parte del discorso di Draghi è stato un elenco dei problemi affrontati e dei dossier aperti e urgenti nell’immediato, così come si addice a ogni Governo e soprattutto a un esecutivo di unità nazionale in un momento di emergenza.
Non so come si possa cercare di sentirsi forti affermando solamente la propria differenza. Piuttosto, si manifesta la propria forza politica accettando un compromesso con gli altri, basato su una discussione generale e analitica riguardante i problemi da affrontare e sui modi per risolverli.
La scelta dei partiti che hanno mandato a casa Draghi mostra quale sia il dramma della politica italiana. Se lo scopo dei partiti non si gioca sul bene del Paese, non si capisce su che cosa debba essere costruita la vita politica.
I partiti tradizionali si appoggiavano a delle realtà popolari e ai corpi intermedi, gli stessi che hanno chiesto a Draghi di continuare. Perché quei partiti della prima repubblica erano in contatto con il popolo e in rapporto tra loro, per risolvere i problemi nei momenti di grande difficoltà, comprendendo che cosa vuol dire un’emergenza e la capacità di un compromesso per evitare il peggio.
Nella seconda repubblica i “partiti di plastica” sembrano composti da servitori degli uomini soli al comando di turno, ma hanno perso il rapporto con la realtà sociale. Cercano persone da “comprare” con interventi spot basati su condoni edilizi, bonus e prebende, interventi demagogici sulle pensioni, Reddito di cittadinanza concepito male, continui splafonamenti di bilancio che fanno un debito cattivo.
Purtroppo anche in partiti radicati territorialmente e attori di buon governo, la demagogia dilagante ha fatto sì che si affermassero leader senza alcun desidero di servire il Paese, utilizzando contenuti divisivi e rissosi.
C’è poi chi sul “tanto peggio tanto meglio” di opposizioni a priori, cioè sul desiderio dello sfascio, ha fatto la sua fortuna elettorale.
Le montagne russe di consensi elettorali, che passano in pochissimi anni dal 30% al 10%, sono il segno della superficialità devastante di questo modo di far politica che cerca di ammaliare per poi ottenere il voto, quasi fosse il consenso dato a un protagonista dell’Isola dei famosi.
Il tentativo di andare alle elezioni per recuperare qualche punto percentuale a costo di sfasciare definitivamente l’Italia, rovinando la vita di molti, è l’ultimo esempio di questa carenza di cultura e di responsabilità che ci getta nel buio.
Speriamo che alle prossime elezioni gli italiani sappiano fare i loro distinguo e si ricordino chi sono quei poveri politici che, come i poveri cantautori di un altro pezzo di Jannacci, “da grandi vogliono fare le star”. E non li votino più.
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